mercoledì 22 giugno 2016

Detenuto in attesa di giudizio

Detenuto in attesa di giudizio è un film drammatico del 1971 diretto da Nanni Loy, con Alberto Sordi, Elga Andersen, Andrea Aureli, Nazzareno Natale, Michele Gammino, Lino Banfi, Luca Sportelli, Tano Cimarosa, Silvio Spaccesi.

Detenuto in attesa di giudizio
Trama
Giuseppe Di Noi è un geometra italiano che vive da molti anni in Svezia, dove ha anche messo su famiglia.
Tornato per le ferie in Italia, Giuseppe viene prelevato alla dogana e portato in carcere senza alcuna spiegazione.
Inizierà così per Giuseppe un lungo calvario fatto di trasferimenti ed attese interminabili, che cambieranno per sempre la vita del geometra.

Recensione
Detenuto in attesa di giudizio è un belissimo film degli anni 70 con l'intramontabile Alberto Sordi, che in questa pellicola ricopre un po' un ruolo a metà tra il drammatico ed il comico/grottesco.
Un film ben realizzato che racconta il calvario del protagonista, sballottato a destra e manca tra varie prigioni italiane senza neanche una spiegazione.
Un film che se vogliamo fa paura, dato che una cosa del genere poteva capitare davvero a chiunque.
Da non perdere per tutti gli amanti dei film sul mondo delle carceri.

Link alla scheda del film su wikipedia
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Tecniche del colloquio (16/16): Diagnosi e test nel rapporto con il paziente

Alcuni assunti base sull'utilizzo dei test sono:
  • l'esame diagnostico segue spesso un modello medico oggettivo che implica l'utilizzo di tecniche standard di test
  • l'utilizzo dei test favorisce un rapporto passivo e può illudere il paziente sul loro magico risultato
  • la restituzione dei risultati dei test spesso è troppo tecnica per i pazienti e può causare ansie
  • spesso c'è una figura specifica che somministra test, e questa deve poi dialogare col clinico, aggiungendo nuovo rapporto difficile da gestire (oltre a quello col paziente)
  • la restituzione dei risultati dei test può essere un problema quando la figura del paziente risulti poco definita 


Proprietà e limiti dei test


Più è complessa la funzione osservata e più ci si allontana dall'attendibilità e la validità del test.
Nel caso di test di intelligenza generale, ciò che misura ogni singolo test è qualcosa di diverso caso per caso in quanto corrisponde a distinte e parziali definizioni operative d'intelligenza, quindi la validità del test è una validità relativa e circoscritta.
L'attendibilità deve essere garantita se no crea problemi in ambito clinico e per far ciò spesso si utilizzano gruppi di popolazioni specifiche, inoltre l'oggettività viene influenzata dalla quota più o meno grande delle prove effettuate e dalla situazione in esame (un clima amichevole può facilitare chi fa il test).
Va inoltre analizzata la validità interna del test, e un'altra fonte d'errore si può avere quando si tenta di tradurre il linguaggio dei test in linguaggio clinico.



Criteri e finalità della comunicazione dei risultati


I criteri e le finalità della comunicazione dei risultati sono da differenziare a seconda di chi è il bersaglio della comunicazione.
Se il destinatario è il paziente la comunicazione va trattata alla pari di un intervento clinico a tutti gli effetti e come tale va attentamente ponderata, e l'osservazione che il clinico può fare su come il paziente reagisce alla propria comunicazione costituisce un ulteriore strumento diagnostico.
Ci sono poi problemi etici e deontologici quando il paziente che deve ricevere i risultati ha capacità di comprensione limitate, o nel caso di minori, quando magari vengono richieste informazioni da parte di terzi (es. genitori), inoltre ci deve essere sempre l'interesse ed il suo esplicito consenso, altrimenti l'informazione non va data.
Il resoconto va fornito in modo non giudicante e deve essere sempre corretto e completo, nonché tradotto nel linguaggio del paziente, dovrà essere qualcosa che corrisponda alle aspettative e alle richieste del paziente (e bisognerà rispondere in modo terapeutico nel caso in cui il paziente reagisca in modo diverso da quello che ci si aspetta, come nel caso di pazienti a rischio depressi o psicotici).
La comunicazione dei risultati può essere omessa in caso di pazienti con grossi problemi, o cmq va data con molta sensibilità e chiarezza.



La restituzione come parte della diagnosi e della terapia


L'esposizione dei risultati costituisce sia un allargamento ed integrazione del momento diagnostico che una propedeusi ed accelerazione del momento terapeutico.
Quando c'è una spiegazione chiara, il paziente diventa parte attiva del processo di diagnosi e ciò fornisce ulteriori indici di comportamento utili al completamento della diagnosi e all'accelerazione del processo di insight.
La discussione dei dati dimostra agli occhi del paziente, che il clinico non si limita a studiarlo, ma che è anche interessato a capirlo e non tiene per sè informazioni e giudizi, consentendo di evitare l'ira o l'irritazione che spesso è legata al senso di mistero nei confronti dei trattamenti psicologici.


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Tecniche del colloquio (15/16): La restituzione della psicodiagnosi

Nella restituzione si può trasformare quanto del paziente si è riusciti a comprendere, da una semplice esperienza conoscitiva in una formulazione che deve essere il più possibile aderente ai suoi vissuti e alle sue possibilità di comprensione, e soprattutto bisognerà tener conto dell'effetto che questa restituzione produrrà su di lui, o di quello che si vuole produrre.
La restituzione in quanto esito di un processo diagnostico corrisponde a una serie di operazioni, anche molto diverse tra loro.
E' necessario scegliere cosa dire al paziente e come dirlo, e gli elementi che strutturano l'alleanza e rendono possibile ed efficace un processo diagnostico e una restituzione sono:
  • una vera alleanza diagnostica da parte del clinico
  • la capacità di considerare la paura che il paziente può suscitare negli altri, così come l'effetto che il clinico può fare sul paziente
  • la rinuncia al tentativo di sedurre o di far ragionare il paziente
  • la scelta di un livello comprensibile di restituzione per il paziente
  • la rinuncia ad avvalersi di categorie diagnostiche solo nosografiche
  • la strutturazione del processo diagnostico con la finalità di cercare indizi utili per il paziente (comprese le interviste ai genitori, se necessarie)
  • la processualità della restituzione, che deve seguire un andamento proprio e contraddistinto da tappe precise e determinato dalle capacità di comprensione e utilizzo del paziente
  • la situazione emotiva creata varia a seconda delle specifiche esigenze del paziente
Se ad esempio ci si trova davanti ad un paziente che ha un delirio di persecuzione, il come e se dire al paziente che delira, è una scelta che richiede molta attenzione.
Nella restituzione, la prima trasformazione che la diagnosi subisce è quella che deriva dalla diagnosi del paziente.
La restituzione, se non fatta correttamente, può essere inutile o addirittura dannosa, come quando si comunicano dati che il paziente non può comprendere o con una modalità di comunicazione non idonea per quel tipo di paziente.
Il paziente può usare la restituzione della diagnosi in tempi e modi diversi, in funzione dei seguenti fattori:
  • le caratteristiche della sua personalità
  • la sua storia di persona e paziente
  • i motivi della consultazione
  • le situazioni interpersonali più significative
  • l'importanza e la prevalenza di relazioni familiari
  • le influenze reciproche di queste con il paziente
  • il modo in cui vive la situazione diagnostica
Quindi è proprio la situazione clinica del paziente che organizza il lavoro della restituzione.


La restituzione del paziente


Può capitare che il paziente arrivi prima del clinico a formularsi una restituzione.
La restituzione più semplice è quella in cui il paziente usa lo spazio riservatogli nella situazione diagnostica, e ciò avviene solitamente in 2 casi:

  • pazienti che hanno un'ottima dotazione intellettiva
  • pazienti gravi che capiscono chiaramente cosa gli sta accadendo
Prima di dare la restituzione al paziente quindi, è meglio lasciargli un po' di spazio per esprimere i suoi dubbi e le sue ipotesi, cercando di capire l'effetto emotivo che la consultazione ha avuto su di lui, ascoltando quello che il paziente ha da restituire.


Tipi di restituzione


Se si percepisce di star impartendo una lezione, può essere che ci sia un disturbo con il contatto con il paziente, e in linea di massima, tutte le vicissitudini del processo diagnostico vanno considerate come una preziosa fonte di informazioni.
A volte far capire al paziente cosa ha è importante per farlo sentire meno solo, per dargli la speranza di guarire, altre volte invece va adottato un clima più severo, per evitare che venga preso sottogamba il problema ("tanto ce l'hanno tutti").
Le tipologie di restituzione sono le seguenti:

  1. Struttura: le restituzioni di tipo ricostruttivo sono più globali perchè tendono a fornire al paziente una lettura integrata delle vicende affettive e relazionali della sua vita e i relativi nessi, le restituzioni mirate, parziali sono centrate su un aspetto specifico che si ritiene opportuno mettere in evidenza, le restituzioni focali derivano dall'individuazione di un elemento significativo e determinante della vita del paziente
  2. Forma
  3. Modalità
  4. Scopi e processualità: ci si può limitare ad una semplice indicazione o controindicazione di trattamento, ci si può fermare alla restituzione senza fornire alcuna indicazione, si può fare una restituzione-intervento che consenta di lavorare subito sul paziente, si può fare una restituzione lunga nel tempo per ottenere modificazioni spontanee 


L'alleanza nella restituzione


L'alleanza diagnostica è molto importante proprio nel momento della restituzione, in quanto la restituzione è il momento in cui l'alleanza del paziente viene messa a dura prova.
Spesso infatti accade che proprio durante la restituzioni riemergano la sfiducia, la diffidenza, da parte di quei pazienti che hanno manifestato tali caratteristiche durante il primo colloquio.
Una tecnica particolare di restituzione è quella che coinvolge terze persone, soprattutto quelle persone particolarmente significative per il paziente, ed in tali casi la restituzione è però resa più difficoltosa a causa del segreto professionale.
Il segreto professionale può essere importante quando c'è l'incapacità del paziente di tutelare il proprio segreto, o quando c'è una richiesta di segreto come complicità manipolatoria rispetto all'ambiente.
La restituzione ai familiari può anche ridurre la loro nocività sul paziente, nei casi in cui sia proprio il loro comportamento l'origine del male.


La restituzione può essere rivolta esclusivamente ad evidenziare il significato funzionale della sintomatologia, quando ci si trova davanti a pazienti che soffrono molto e vogliono spiegazioni specifiche immediate.
Esistono anche casi in cui la restituzione serve per chiarire al paziente che si sta rivolgendo al tecnico sbagliato.
La restituzione può essere identificatoria (il diagnosta compie uno sforzo attivo per comunicare, mettendosi nei panni del paziente) o disidentificatoria (il diagnosta assume una certa distanza dal paziente).
Alcune volte la restituzione deve servire ad allontanare i pazienti che vogliono fare troppo gli psicologi, dalle loro errate convinzioni, ed in altri casi la restituzione può non essere conclusiva, può essere necessario proseguire con la diagnosi.
Alcuni assunti fondamentali sulla restituzione sono:
  • è importante fare una diagnosi precisa per ogni paziente, senza farsi mai intimorire dai vari casi
  • i pregiudizi possono impedire una corretta restituzione
  • l'alleanza diagnostica è in alcuni casi irrinunciabile
  • la restituzione può dare al paziente una visione intera di sè
  • la restituzione può far ridurre il vissuto di impotenza o di condanna
  • la restituzione può far cessare la condotta abnorme e suicida
E' importante sottolineare che, una vera alleanza diagnostica spesso si può consolidare o ottenere solo con la restituzione.
In molti casi quindi, la restituzione costituisce la premessa di una possibile alleanza terapeutica basata su una già avvenuta alleanza diagnostica.

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Tecniche del colloquio (14/16): Integrazione e comunicazione degli elementi diagnostici

Qualsiasi processo diagnostico implica una attività di integrazione: i dati su cui esso si basa, anche ottenuti con un solo colloquio, devono essere raccolti, organizzati e resi confrontabili tramite un insieme articolato di operazioni.


Integrazione


Consiste nel confronto e nell'attribuzione di un significato o di un fine comune ad un insieme di elementi che possono anche apparire tra loro diversi (o addirittura in contraddizione).
Un integrazione terapeutica può consistere ad esempio in un trattamento concordato tra farmacologo e psicoterapeuta.
Gli elementi fondamentali per l'integrazione sono 2:

  1. la reciproca autonomia degli elementi
  2. la possibilità che le variabili sottoposte al processo di integrazione siano tra loro confrontabili e quindi integrabili 

Integrazione tra vari strumenti


Il clinico deve imparare ad usare più batterie di test, perchè usandone una sola si atterrebbe solo al modello teorico di riferimento della batteria selezionata.
Di solito in clinica, la batteria di test include un test per la misurazione del livello mentale (WAIS, WISC, ETA, BETA, matrici progressive di Raven, ecc...) e uno o più test proiettivi (Rorschach, TAT, ORT, Blacky pictures, ecc...), o al posto del test proiettivo può essere usato un questionario di personalità (es. MMPI) o una rating scales.
In generale, il confronto tra più test può portare a dati interessanti, non ottenibili dal singolo test.
La batteria si sceglie in base a 2 criteri: la necessità di avere una misurazione il più possibile globale delle funzioni del soggetto, e la somministrazione di test specifici mirati ad indagare alcune aree particolari e scelti in base ai quesiti sorti.


Di solito lo psichiatra fa il colloquio e lo psicologo somministra i test, tuttavia di solito, test e colloquio sono considerati strumenti indispensabili per una elaborazione diagnostica corretta.
Il test è uno strumento più oggettivo, mentre il colloquio è una modalità più relazionale, tuttavia ad esempio, un cattivo esito al test di Rorshach può indicare una regressione disorganizzata e quindi può essere sconsigliato un trattamento di tipo psicoanalitico.
Quando da test e colloquio escono dati discordanti tra di loro, occorre un processo di integrazione che li chiarisca entrambi.


Comunicazione della diagnosi


In caso di team di lavoro, un'organizzazione gerarchica è sconsigliata, si dovrebbero avere operatori che si occupano di diverse mansioni, tutti affidabili e competenti, ed eventualmente si può avere la figura di un supervisore neutrale.
Il lavoro d'equipe è cmq raro, di solito c'è un solo professionista che eventualmente chiede ad un altro tecnico di indagare su altre aree di sua competenza, per un approfondimento diagnostico.
I problemi di integrazione tra tecnici possono essere dovuti a:

  • uso linguaggi differenti
  • l'ambivalenza degli psichiatri che sono abituati ad avere un ruolo troppo centrale nell'equipe
  • la necessità che l'inviante chieda un parere senza dare alcuna informazione preliminare
  • la formalità della comunicazione
  • i test vengono paragonati ai raggi x dell'inconscio, e solo il testista conosce il significato dei dati di base da cui parte l'elaborazione
  • spesso l'inviante ha aspettative eccessive rispetto alle vere potenzialità dei test
  • i due professionisti dovrebbero capire cosa uno si aspetti dall'altro
  • qualsiasi incomprensione che nasce tra un inviante ed un diagnosta deve essere considerata come un ulteriore elemento diagnostico
Anche il paziente dovrebbe essere coinvolto attivamente nel processo diagnostico e partecipare alla sua conclusione come supervisore.
Di solito si ha paura di comunicare al paziente l'esito della diagnosi, per paura di spaventarlo, e negli USA è stato cmq riconosciuto il diritto ai pazienti di sapere sempre l'esito della diagnosi.

L'effetto Barnum della diagnosi si ha quando le ricerche restituiscono diagnosi false, contenenti affermazioni universali, valide per tutti gli individui.

In linea di massima occorre cmq prudenza nella restituzione della diagnosi al paziente, perchè ci possono essere effetti di intellettualizzazione o resistenze (magari dovute alle troppe informazioni ricevute tutte assieme senza il tempo necessario di assimilarle), ed è anche difficile spesso esporre una diagnosi che non risulti offensiva.
La restituzione rende il partecipante un soggetto attivo e quindi non va fatta da altre persone all'infuori del clinico.
La restituzione aumenta la fiducia reciproca e l'alleanza di lavoro tra paziente e clinico, può avere un valore terapeutico e facilitare l'inizio del trattamento, può ridurre l'urgenza di avere subito un trattamento.
Bisogna evitare linguaggi tecnici complicati durante la restituzione e non essere lo stesso troppo generici.
Bisogna inoltre scegliere il momento giusto e valutare cmq se è il caso di fare la restituzione (è sconsigliata per gli psicotici depressi gravi).

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Tecniche del colloquio (13/16): Il primo colloquio

Il primo colloquio è un colloquio di assessment che precede qualsiasi trattamento e non ha la funzione di fornire aiuto, le cui caratteristiche possono variare a seconda di chi lo conduce, al contesto in cui avviene e agli obiettivi del colloquio stesso.


Uso di domande


Le domande sono un aspetto essenziale del primo colloquio, e i diversi tipi di domanda possono provocare diverse modalità di risposta.
Le domande usate nel colloquio si dividono in: aperte, chiuse, interlocutorie, indirette/implicite, proiettive.
Le domande aperte sono quelle domande che facilitano in discorso e di solito iniziano con le parole "come, che, che cosa, quale", ma anche "dove, quando, perchè, chi" (anche se in realtà queste parole introducono domande parzialmente aperte, infatti le domande aperte variano nel grado di apertura (non facilitano il discorso in egual misura).
Le domande che iniziano con "perchè" di solito vengono evitate perchè stimolano reazioni difensive (vengono usate solo quando c'è già un buon contatto col paziente), mentre le domande che iniziano con "chi, dove, quando" spingono il paziente a fornire indicazioni molto specifiche e per questo motivo alcune volte vengono considerate come le domande chiuse.
Le domande chiuse sono quelle domande alle quali si può rispondere con un si o con un no, riducono la verbalizzazione, utili per contenere pazienti troppo verbosi, sono utili per ottenere informazioni specifiche e di solito vengono usate verso la fine del colloquio.
Le domande interlocutorie ("potrebbe, vorrebbe, può, vuole") sono domande a cui si può anche rispondere con un si o con un no, ma che cmq sollecitano un'esposizione più elaborata di sentimenti, pensieri e problemi specifici, vanno impiegate quando si è stabilito un buon contatto e vanno evitate con bambini ed adolescenti.
Le domande indirette/implicite ("mi chiedo, deve essere") consentono di capire se il paziente pensa o sente, evitando però che egli si senta obbligato a rispondere, possono apparire insinuanti o manipolative e quindi vanno usate raramente e solo quando si è stabilito un buon contatto.
Le domande proiettive ("che cosa accadrebbe se") hanno lo scopo di aiutare il paziente ad identificare, esprimere ed analizzare conflitti, valori, sensazioni e pensieri inconsci o parzialmente consci (di norma usano un "se" e invitano alla riflessione), di solito vengono usate per capire quali sono i valori e le capacità di giudizio del paziente.


Le domande non sono una tecnica neutra perchè suscitano reazioni profonde, sulle quali bisogna indagare (esistono reazioni personali ed universali).
Le domande possono mettere il paziente in una situazione difensiva, soprattutto se poste a raffica e possono renderlo meno spontaneo, e l'eccesso di domande può anche stimolare la dipendenza.
Alcune indicazioni per l'uso delle domande:
  • preparare il paziente a rispondere alle domande
  • non usare le domande come forma principale di intervento nel colloquio
  • sintonizzare le domande sui problemi rilevati nel paziente
  • usare le domande per ottenere esempi concreti di comportamento
  • affrontare con cautela le aree sensibili (a volte è meglio evitare le domande e quindi l'acquisizione di informazioni a favore della nascita di un buon rapporto tra clinico e paziente, dato che in alcuni casi le domande possono risultare troppo pesanti per il paziente, l'evitare dimostra tatto e sensibilità e può far nascere l'intesa) 


Obiettivi del primo colloquio


Gli obiettivi principali del primo colloquio sono 3:
  1. identificare, valutare ed analizzare il problema più rilevante per il paziente
  2. formarsi un'idea complessiva dello stile relazionale e della storia personale del paziente
  3. valutare la situazione attuale del paziente
Bisogna quindi per primo scoprire la natura della sofferenza, capire come mai il paziente si è rivolto al clinico (momento di 5/8 minuti dove si ascolta il punto di vista del paziente).
Bisogna stabilire le priorità e selezionare un problema, analizzare un sintomo, usare sistemi di concettualizzazioni dei problemi.

Un sistema di concettualizzazione dei problemi famoso è l'approccio multimodale di Lazarus, detto Basic ID (1976), il quale suggerisce di inquadrare e trattare i problemi tramite 7 modalità specifiche:
  1. Behavior (comportamento): vengono analizzate risposte comportamentali specifiche e concrete
  2. Affect (affetto): comprende sentimenti, emozioni riportate e descritte dal soggetto
  3. Sensation (sensazione)
  4. Imagery (immagini mentali)
  5. Cognition (processi cognitivi)
  6. Interpersonal relationships (relazioni interpersonali)
  7. Drugs (farmaci/sostanze)
Il modello di Lazarus si basa su un'ampia casistica ed è utile per clinici di diverso orientamento teorico, tuttavia attribuisce troppa importanza ai modelli cognitivi.
Qualsiasi sistema che si prefigge di agevolare l'identificazione, l'analisi e la concettualizzazione dei problemi è imperfetto, per questo è importante saper usare più sistemi.

Il modello ABC (1974) è di tipo comportamentista e parte dall'assunto che l'analisi dell'ambiente in cui vive il paziente e l'analisi dei suoi stimoli, permettono di spiegare, prevedere e controllare ogni specifico sintomo.
In questo modello A si riferisce agli antecedenti comportamentali, B al comportamento (o al problema stesso) e C alle conseguenze comportamentali.

C'è poi l'esame diagnostico, dove si ricerca la sindrome, e uno strumento di riferimento per questo scopo è il DSM-IV (1994), il quale fornisce gli standard di classificazione diagnostica.

Nel primo colloquio 3 sono le fonti per esaminare la personalità e le condizioni psichiche del paziente:
  1. la storia personale del paziente
  2. il suo modo di interagire con gli altri
  3. un esame tradizionale delle sue condizioni psichiche
Bisogna quindi capire come accedere alla storia personale del paziente (che tono usare, che domande fare, quando insistere), si possono infatti usare interventi non-direttivi per acquisire la storia personale del paziente (es. lasciandolo libero di parlare) o metodi direttivi (con domande dirette, stando attenti a capire se si parla al passato con l'umore del presente, e quindi capendo quando i sentimenti del passato possono non essere quelli descritti dal paziente), ed in alcuni casi si usano anche dei questionari.
Le aree potenzialmente significative nella storia personale del paziente sono: ricordi d'infanzia, descrizione e ricordo dei genitori, descrizione e ricordo di fratelli/sorelle, rapporti con i coetanei, esperienze nelle scuole, esperienze lavorative, servizio militare, vita affettiva, storia sessuale, aggressività, storia sanitaria, storia psichiatrica/counseling/psicoterapia, alcool e droghe, storia legale, attività ricreative, sviluppo, storia religiosa.

Gli psicoterapeuti ad orientamento psicoanalitico basano l'approccio terapeutico sull'assunto che gli individui si comportano secondo modalità coerenti, dipendenti dalla personalità o dallo stile di vita, mentre gli psicoterapeuti cognitivisti e comportamentisti rifiutano il concetto di personalità e sostengono che il comportamento è una funzione della situazione, cioè della conoscenza che si ha della situazione.
Analizzando gli stili relazionali si nota che le persone tengono ad assumere ruoli ben noti nei rapporti interpersonali, e durante il primo colloquio i dati che aiutano il clinico a raccogliere dati sugli stili relazionali provengono da 3 fonti: come il paziente si è rapportato con gli altri in passato, come funzionano le sue relazioni attuali, come interagisce con il clinico stesso.

L'interpersonal circumplex di Leary (1957) è un modello per identificare lo stile relazionale del paziente.
Questo modello sostiene che le persone si rapportano tra loro lungo un continuum strutturato su 2 dimensioni distinte: affiliazione vs ostilità, e dominanza vs sottomissione, e questo modello serve per identificare velocemente lo stile relazionale prevalente del paziente.
Non è cmq necessario e corretto fissarsi sull'idea di stile di relazione prevalente solo dopo un incontro breve, è corretto invece avere qualche idea su come di solito il paziente si relaziona e soprattutto le reazioni emotive che il paziente suscita negli altri.

Per studiare la dinamica sottostante lo stile relazionale del paziente occorre esaminare la natura delle prime relazioni significative di esso, oppure gli si possono fare domande dirette su che cosa sta pensando, sulle sue emozioni e sui ricordi associati alla sua possibile variazione di stile comportamentale.
Per stabilire se il paziente è adatto ad una terapia di tipo psicoanalitico, si valuta la sua capacità di affrontare una terapia orientata verso l'insight, e cmq in generale, non esiste miglior strumento della relazione tra clinico e paziente per esaminare le tendenze relazionali del paziente stesso.
Cmq valutare la storia personale del paziente e il suo stile relazionale è un compito complesso che può richiedere più sedute.

Successivamente si studia la situazione attuale del paziente, chiedendogli quale tipo di vita conduce attualmente, e questo è anche importante perchè è bene non concludere un colloquio parlando del passato.
Si parla anche del futuro nel primo colloquio, perchè il paziente si rivolge al clinico per la speranza di un futuro migliore e quindi il futuro fa parte degli obiettivi della terapia, e parlare degli obiettivi della terapia durante il primo colloquio pone le premesse per la sua conclusione.
Con una chiara definizione del mutamento desiderato, clinico e paziente possono verificare insieme il progresso della terapia, e stabilire assieme quando si sta avvicinando la sua conclusione.


Fattori che influiscono sulle modalità del primo colloquio


E' impossibile analizzare tutti gli argomenti prefissati nei 50 minuti del primo colloquio, quindi bisognerà fare delle scelte, su quali argomenti mettere in secondo piano o accantonare.

I questionari vengono usati per reperire velocemente informazioni, ma non bisogna abusarne perchè possono rovinare l'intesa con il paziente, tuttavia, questionari brevi e discreti possono essere un buon mezzo per preparare il clinico all'incontro col paziente (facendogli individuare da subito alcune aree di maggiore interesse).


Spesso le informazioni da reperire sono condizionate dal contesto istituzionale, ad esempio ospedali psichiatrici danno importanza alle informazioni di carattere diagnostico e alla storia del paziente, mentre in altri contesti ci si concentra sul problema e sul sintomo.
Quindi alla fine del primo colloquio il clinico dovrebbe tenere presenti le necessità dell'istituzione da cui dipende.

Il fattore che cmq influisce maggiormente sulle informazioni reperite è l'orientamento teorico del clinico: i comportamentisti e cognitivisti si focalizzano sui problemi del momento, gli psicoanalisti prediligono la storia personale del paziente, quelli orientati sulla persona danno importanza alla situazione presente e come il paziente vive se stesso.
Inoltre quelli orientati sulla persona e gli psicoanalisti sono meno propensi all'uso di questionari o di procedure computerizzate.

La formazione e l'affiliazione professionale del clinico possono avere un'influenza determinante sulle informazioni raccolte.
Gli psichiatri sottolineano l'importanza del colloquio psichiatrico e l'intervista diagnostica basata sul DSM-IV, i clinici sono interessati all'assessment e alla diagnosi ma sottolineando l'importanza della valutazione del problema e dell'analisi comportamentale e cognitivista, quelli orientati al counseling favoriscono l'ascolto e le strategie d'aiuto, mentre gli assistenti sociali sono interessati alla raccolta di dati inerenti allo sviluppo, alla pianificazione del trattamento e alle capacità d'ascolto.

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Tecniche del colloquio (12/16): La sfiducia e la diffidenza

Il primo colloquio è una situazione conoscitiva unica e specifica, la sua particolarità sta nel fatto che è una condizione nuova in cui non sono ancora in atto modalità di relazione già note e organizzate.
In questa prima fase, le modalità che il paziente usa sono un indizio di come tenderà ad affrontare lo stesso colloquio, e può quindi essere interessante capire a chi il paziente idealmente si rivolge, in che modo, con che emozioni, con quali aspettative, attitudini e capacità.


Il primo colloquio come esame obiettivo


La capacità del clinico più esperto è riconducibile ad una migliore ed immediata comprensione ed utilizzazione dei primi elementi che il paziente porta nel colloquio, e alle modalità di passaggio dalla presentazione di sè da parte del paziente al colloquio clinico vero e proprio.
Il clinico più esperto ha una maggiore sicurezza derivata da una già consolidata professionalità e dalla possibilità di confronto con le esperienze e casistiche precedenti.
E' capace di più obiettivazione: chi si sente meno minacciato nella sua identità professionale e chi è in grado di porsi in una condizione di apprendimento (obiettivazione non difensiva).
L'inizio, il primo colloquio, è una situazione aperta e non preordinata, ed è importante che il principiante consideri questa situazione iniziale come un setting la cui specifica neutralità è proprio quella di non parteggiare per una scelta già determinata dal solo fatto che il paziente si è rivolto ad uno psicologo clinico.



Psicologizzazione precoce e ritualizzazione


Se il clinico cerca di modificare la situazione di ansietà iniziale attraverso l'impostazione di uno schema onnicomprensivo (psicologizzazione) e all'interno del quale allearsi (ritualizzazione), può creare un ostacolo ad un proficuo utilizzo di questa situazione.
Per rituale si intende quindi una modalità da compito che non si struttura sulla base di quanto il paziente comunica, ma sull'adeguamento del paziente stesso a tale modalità.
La psicologizzazione può essere usata precocemente già dal paziente, come speranza che la psicologia magicamente possa ridurre la sofferenza.



La sfiducia e la diffidenza


Per il paziente la diffidenza può essere una necessità irrinunciabile di badare a se stesso e di voler esser certo delle sue scelte, e di contrastare il pericolo di affidarsi alla cieca (es. paura di essere imbrogliato).
La sfiducia può far capire che il paziente ha aspettative di interventi di tipo diverso, magari dovute ad interventi subiti in precedenza.
Le manovre dello psicologo che vuole conquistare a tutti i costi la fiducia del paziente nel primo colloquio possono danneggiare l'intero iter.



La possibilità di non capire


Lo psicologo inesperto può commettere l'errore di voler a tutti i costi capire troppo fin dall'inizio, vivendo il paziente nel modo sbagliato e rischiando di indurlo ad usare schemi prestabiliti e quindi a non essere spontaneo e naturale.
Anche la psicologizzazione e la ritualizzazione precoce impediscono il passaggio allo strutturarsi del colloquio, e si parla di arte del primo colloquio, come capacità di cogliere la modalità più utile per quel determinato paziente, nel clima emotivo che viene creandosi e con gli strumenti a disposizione.
E' necessario far capire al paziente che ciò che egli comunica è ciò che conta, anche quando è necessario spostare la sua attenzione su altri elementi, e bisogna anche tener conto che oltre alla sfiducia, il paziente possa anche non capire.


Gli stereotipi sono i maggiori ostacoli alla formazione del primo colloquio ed essi sottendono le security operations, che sono ad esempio il doversi dimostrare amichevoli o intelligenti, come stereotipo dell'alleanza e della fiducia, cosa che non sempre è una cosa naturale e che quindi può essere controproducente se forzata.
Questi stereotipi possono indurre a diagnosi frettolose.
Bisogna inoltre imparare dal proprio paziente e anche dalle difficoltà che si incontrano durante il colloquio.

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Una vita tranquilla

Una vita tranquilla è un film drammatico del 2010 diretto da Claudio Cupellini, con Toni Servillo, Marco D'Amore, Francesco Di Leva, Juliane Köhler, Maurizio Donadoni, Leonardo Sprengler, Alice Dwyer.

Una vita tranquilla
Trama
Rosario è un napoletano di 50 anni che da 15 anni vive in Germania.
Sposato con una bella donna tedesca e con un figlio, Rosario gestisce un hotel e conduce una vita tranquilla.
Il passato di Rosario però nasconde delle macchie oscure, e quando due ragazzi napoletani giungeranno dall'Italia fino al suo Hotel, il passato di Rosario riemergerà.

Recensione
Un ottimo film con Tony Servillo sul genere mafia/camorra.
Non è un film sanguinario fatto di spariatorie e crimini vari, ma un film che parla della storia di un uomo emigrato all'estero per cambiare vita, il cui passato però torna a perseguitarlo.
Ritmo narrativo molto calmo ma mai noioso, ottimo film a mio avviso, anche se nel finale scade un po' nel banale.
Da vedere assolutamente per gli amanti del genere criminalità organizzata :p

Link alla scheda del film su wikipedia

martedì 21 giugno 2016

Come usare Chromecast

Se non sai che cos'è Chromecast, eccoti una definizione di massima: Google Chromecast è un apparecchio hardware che consente alla tua televisione, non necessariamente smart tv, di vedere un video, delle foto o sentire della musica trasmessa tramite wifi dal tuo computer, tablet, smarphone.

Grazie a chromecast infatti, è possibile vedere in streaming ciò che il tuo pc con google chrome sta trasmettendo in quel momento.
Che cosa vuol dire questo?
Semplice: per tutti gli amanti del download da internet (di file legali eh?), soprattutto per chi preleva i video dai siti di streaming online per poi passarli alla chiavetta usb per poterli guardare con la televisione, grazie a google chrome cast sarà possibile saltare qualche passaggio e vedere direttamente i film in streaming comodamente sul proprio televisore.

Vediamo dunque come usare google chromecast.

Che cosa ti serve?
  1. L'apparecchio google chromecast, acquistabile online o in qualsiasi negozio di elettronica/informatica
  2. Una connessione wifi decente
  3. Un televisore con almeno una porta hdmi libera

Come usare Chromecast

Come funziona google Chromecast?
E' molto semplice, basta seguire i seguenti passaggi:
  1. Collegare il dispositivo chromecast all'alimentatore di corrente ed alla tv tramite il cavo hdmi
  2. Cambiare l'ingresso della tv selezionando come sorgente la porta hdmi a cui è collegato chromecast
  3. Configurare chromecast

I primi due punti sono ovviamente semplici da eseguire, mentre sul terzo punto occorre soffermarsi un momento per dare qualche specifica in più su come configurare chromecast.

Come ti dirà il tuo televisore non appena selezionerai come sorgente il canale dedicato a chromecast, collegati al seguente indirizzo:
chromecast.com/setup

Chromecast sulla tv

Come indica la pagina in cui si atterrà, sarà possibile installare il software di chromecast per smarphone (android o ios), tablet, oppure per pc.

Io ad esempio ho provato ad installare chromecast su smarphone android (il cui nome ufficiale dell'app è Google Cast), se invece vuoi installare chromecast direttamente su pc leggi qui.

Ecco il link di chromecast per android:
https://play.google.com/store/apps/details?id=com.google.android.apps.chromecast.app&hl=it

Dopo aver avviato chromecast, verrà cercato automaticamente il dispositivo, ed una volta trovato, vi verrà chiesto se effettuare un chromecast o un chromecast audio.

chromecast

Visto che vogliamo vedere un video sulla nostra tv, clicchiamo su chromecast.

Se ti verrà chiesto di dare i permessi a chromecast di accedere alla posizione del dispositivo, clicca su Consenti.
Quando apparirà l'icona del tuo chromecast con un numero identificativo, con indicato "Configurazione necessaria", clicca su Configura.

configura chromecast

Ti verrà richiesto di cliccare su Configura, fallo e finirai in una schermata dove ci sarà scritto un codice.
Se vedi il codice mostrato sul tuo telefonino anche sulla tua tv, clicca su Il codice è visualizzato.

Codice di conferma

Nella schermata che si aprirà, ti verrà chiesto di dare un nome al tuo dispositivo chromecast, ed eventualmente scegliere di usarlo in modalità ospite (spuntando si, consentirai di collegarsi tramite chromecast anche agli altri dispositivi presenti nella stanza), cliccare infine su Imposta nome.

imposta nome

Adesso viene la parte più impegnativa (per modo di dire).
Bisogna selezionare la rete wifi a cui collegarsi.
Sceglierne una dalla lista o selezionare la voce Altra e poi inserire il nome a mano della rete (se invisibile), poi immettere la password ed infine cliccare su Imposta rete.

impostare rete

Se avrai inserito tutte le informazioni correttamente, partirà un video introduttivo sul tuo televisore, e se necessario, verrà scaricato ed installato un aggiornamento del software.
Al termine dell'aggiornamento, chromecast sulla tv verrà riavviato e dovrai attendere il completamento della configurazione di sistema.
Verrà infine visualizzato il messaggio "Sei pronto per trasmettere".

Clicca su sfoglia le tue app per chromecast per vedere con quali app puoi trasmettere dal cellulare alla tv.
Nel mio caso ho:
  • google photos
  • google play movies
  • google+
  • kmplayer
  • rai.tv
  • youtube
  • google play music

Ma ovviamente potete anche installare altre app per trasmettere tramite chromecast (cliccando su Trova APP).

Quello che devi fare ora è, aprire un app compatibile con chromecast e cliccare sul pulsante 'trasmetti' e poi cliccare sul nome del tuo dispositivo chromecast quando ti chiede dove.

trasmettere dal cellulare

Facendolo ad esempio con google foto potrò trasmettere le foto ed i video presenti sul mio telefonino (o raggiungibili tramite cloud google) al mio televisore.

Ovviamente se trasmetterete un video alla tv tramite chromecast, trasmetterete anche l'audio... ho appena provato e ho visto la diretta tv rai passata dal mio cellulare alla tv :p

Per interrompere una trasmissione, clicchiamo sempre sul simbolino di chromecast e poi sul bottone Interrompi trasmissione.
Così facendo la televisione tornerà a mostrare la schermata di default di chromecast.

Come si fa a trasmettere dal pc alla tv con chromecast?
Rispondo anche a questa domanda, forse la più importante della guida :)
Per trasmettere un film dal computer alla tv con chromecast, occorre avere installato google chrome sul proprio computer.
Inoltre, bisogna avere installato su chrome l'estensione Google Cast. Io non l'avevo e c'ho perso mezz'ora per cercare di capire dove fosse il famigerato tasto per trasmettere :p
Aprire dunque chrome ed andare nella pagina web che si vuole trasmettere sulla televisione (ad esempio un video su youtube), poi cliccare sul tasto chromecast in alto a destra e selezionare il dispositivo al quale effettuare la connessione.

dal pc alla tv con chromecast

Ed ecco fatto, ora sul tuo televisore apparirà la finestra del browser del tuo pc e potrai vedere comodamente seduto sul divano tutti i filmati e le foto che vorrai.
Leggi il post

Aggiungere suono di notifica su Samsung Galaxy S6

Per aggiungere un suono di notifica su un Samsung Galaxy S6 con sopra Android non c'è un tasto seleziona suono o aggiungi, come sarebbe stato logico aspettarsi, ma bisogna invece agire sul file system.
Non preoccupatevi però, è comunque un'operazione molto semplice.

Prima di tutto, procuratevi il suono che volete usare come notifica dei messaggi in formato mp3, suono che potrete abbinare anche a qualsiasi altro tipo di notifica del vostro cellulare.

Ora non dovrete fare altro che copiare il file mp3 dentro la cartella media / audio / notifications.

Adesso andate pure in Impostazioni, poi in Suoni e vibrazioni, Suono di notifica (Suoneria notifica predefinita o Notifiche di Messaggi o Notifiche di Calendario o Notifiche di E-mail), e troverete nella lista dei suoni il vostro mp3 da impostare come predefinito per le notifiche.

Attenzione però, il file mp3 nella lista dei suoni di notifica prenderà il nome che questi ha nei metatag dell'mp3, e quindi non lo troverete in lista chiamato con un nome tipo canzone.mp3.
Ve lo dico perchè io non riuscivo a trovare l'mp3 appena caricato, pensando che questa procedura non funzionasse, invece il file aveva solo un nome diverso :)

Per caricare un file mp3 sul vostro smarphone galaxy s6 (o quello che è) potete collegare il telefono al pc, oppure usare un app file manager.

Come fare uno screenshot con il Samsung Galaxy S6

Sei un fortunato possessore di un Samsung Galaxy S6?
Bene, allora sappi che con il tuo cellulare puoi fare tutti gli screenshots che vuoi :)

Uno screenshot è un'immagine che cattura tutto quello che c'è sullo schermo del tuo telefonino in un determinato momento, un'istantanea dello schermo insomma.

Questo breve tutorial ti spiegherà come fare uno screenshot con il Samsung Galaxy S6, ma la stessa procedura vale anche per il galaxy s6 edge ed altri dispositivi con su android.

Per catturare lo schermo del tuo smarphone con il Samsung Galaxy S6 android, basta cliccare la seguente combinazione di tasti:

Tasto Home + Tasto spegnimento accensione (CONTEMPORANEAMENTE)


Come fare uno screenshot con il Samsung Galaxy S6

Quindi, per fare uno screenshot con il galaxy s6 basta tenere premuto per un secondo il tasto home ed il tasto accensione/spegnimento contemporaneamente.
Lo schermo avrà una breve animazione che mostrerà la cattura dello schermo, ed apparirà un'iconcina in alto a sinistra nello schermo con un'icona che simboleggia l'avvenuta cattura immagine.

Troverai poi l'immagine salvata nella cartella pictures/screenshots o nel percorso DCIM/Screenshots.

ps un altro metodo per fare lo screenshot con i samsung galaxy è quello di scorrere con il palmo della mano sul display del telefonino da sinistra a destra... provare per credere :)