I colloqui clinici fatti da operatori di formazione diversa sono differenti, e gli elementi di diversità sono:
- la scelta delle aree di indagine
- la tecnica di domanda
- il modo in cui l'operatore si relaziona col paziente
In generale:
- il colloquio è lo strumento d'elezione per qualsiasi operatore della salute mentale
- il colloquio assume caratteristiche specifiche in base al
modello etiopatogenetico del clinico e la sua conduzione dipende dal
modello di disturbo psichico prescelto
- il colloquio è uno strumento di ricerca, usato per confermare o accantonare alcune ipotesi
- il colloquio è lo strumento d'elezione per molte tecniche psicoterapeutiche
I colloqui vengono classificati in base:
- al loro scopo
- al tipo di modello etiopatogenetico del clinico
- ad alcune caratteristiche della relazione col paziente (es. colloqui direttivi e non direttivi)
- al contesto terapeutico in cui sono usati
- ad un elemento clinico specifico del paziente (colloquio con paziente violento, timido, ecc...)
Gli anni 40
All'inizio degli anni 40 il disturbo psichico è considerato un disturbo di tipo medico, per il quale può essere indicato anche il ricovero in una struttura ausiliare.
Il modello medico di disturbo psichico è considerato come un modello
meccanico (la parte malata della psiche equivale alla parte malata
dell'organismo), ma progressivamente la malattia mentale diventa un
disturbo di interesse psicologico.
In questi anni, lo psicologo clinico non è deputato a curare perchè lo
spazio terapeutico è in mano ai medici e solo progressivamente questa
cosa cambia e passa in mano agli psicologi, a causa dei troppi casi
presenti durante la seconda guerra mondiale che i medici non riescono a
gestire e grazie a nuove tecniche terapeutiche di origine non medica.
Con l'avvento di Hitler molti psicologi e psicoanalisti fuggono in
America, dove trovano un terreno molto fertile dato dalla psichiatria
americana, e successivamente anche le strutture manicomiali iniziano a
ricevere pesanti critiche, a causa dell'aspetto segregante e dei limiti
terapeutici.
All'inizio nonostante i tentativi innovativi, i trattamenti continuano a
basarsi sull'uso di farmaci sedativi e sul ricorso a terapie somatiche,
e solo alla fine degli anni 40 (1947) il National Mental Act sancisce la necessità di formare degli operatori per trattamenti non esclusivamente medici.
Manca un sistema diagnostico consensuale e lo schema diagnostico più usato è quello kraepeliniano,
dove i disturbi sono considerati entità fisse con andamento
prevedibile, e assieme a questo modello si usano alcuni di stampo
psicoanalitico.
Successivamente Glover individua l'esistenza di nessi tra
disturbo psichico ed istanze del modello strutturale, creando le basi
per la nosografia psicodinamica.
Inizia ad essere al centro dell'attenzione la possibilità di individuare
il trattamento più adeguato per il paziente, anche se gli strumenti a
disposizione sono ancora pochi e i risultati sono ancora scarsi, è cmq
l'esordio della teoria clinica (il primo psicologo clinico compare negli anni 50).
Nel modello del colloquio non psichiatrico, il focus si sposta
dalla raccolta dei dati alla qualità della relazione con il paziente,
tuttavia il tentativo di esportare il modello psicoanalitico negli
ospedali ha molti problemi (vengono cmq usati il transfert e il
controtransfert), e alla fine degli anni 40 si tenta invece di
differenziare il colloquio clinico dall'esame psichico.
Infine l'attenzione si sposta dai dati oggettivi, che contraddistinguono
l'esame psichico, ai dati soggettivi, che diventano un elemento
integrante per la formulazione della diagnosi.
Gli anni 50-60
In questi anni, compare il primo sistema classificatorio consensuale (DSM-I) si modifica il modello medico di disturbo psichico (da meccanico a biomedico) e vengono cercati modelli alternativi.
Il
DSM-I viene pubblicato nel
1952 con l'obiettivo di fornire ai diversi operatori uno strumento di comunicazione consensuale.
L'orientamento prevalente è quello di
A. Meyer, che contestualizza i disturbi psichici come
reactions, ovvero come reazioni psicobiologiche a stress esistenziali muticausali.
In questi anni: compaiono gli ansiolitici, gli antidepressivi, il litio
viene usato per curare gli episodi maniacali e depressivi, escono i
primi farmaci antipsicotici per il trattamento della schizofrenia,
nascono alternative al manicomi (es. day hospital, comunità
terapeutica), nascono i primi modelli sociogenetici del disturbo
psichico, i modelli behavioristi, umanistici, esistenziali, compaiono
psicoterapie brevi, i trattamenti familiari e le terapie di gruppo,
nascono nuove categorie (pazienti psicosomatici, con disturbo della
condotta, ecc...).
Il colloquio quindi viene usato in modo diverso, lo strumento cambia in
base allo scopo, alla specificità della relazione con il paziente, alle
caratteristiche del paziente e al contesto terapeutico.
Nel 1955 il
Mental Health Act stabilisce che l'obiettivo del
trattamento dei pazienti affetti da gravi disturbi psichiatrici è quello
di metterli in condizione di vivere in modo normale, inseriti nella
comunità.
Si ha un
evoluzione del modello di colloquio, dove i dati che arrivano dall'esame psichico vengono integrati con quelli della struttura della personalità.
Il
colloquio psichiatrico cambia, non è più sufficiente un
colloquio di tipo domanda e risposta, ma si ha il libero scambio tra
psichiatra e paziente, mentre nell'ambito
psicoanalitico si passa dall'attenzione nel primo colloquio dai dati associativi ai dati oggettivi.
Nei colloqui psicoanalitici di questi anni, bisogna:
- raccogliere dati anamnestici che emergono dalla descrizione della vita del paziente
- conoscere i motivi che hanno portato il paziente a cercare aiuto e le condizioni della sua vita attuale (interessi, ecc...)
- comprendere quanto il problema del paziente sia interno o reattivo all'ambiente
- studiare i sintomi e cercarne le connessioni con gli aspetti della vita del paziente
- far emergere tramite domande, gli elementi emotivi inconsci
La funzione dell'intervista psicoanalitica diagnostica è quella di
aiutare il clinico a ricordare i punti essenziali da indagare, inoltre,
tanto più il paziente è disturbato e tanto è maggiore l'importanza di
informazioni supplementari provenienti da familiari o altri operatori.
Si ipotizza che il disturbo psicosomatico sia più facilmente
diagnosticabile e trattabile usando un modello psicoanalitico, e si
pensa che bisogna osservare più che modificare il comportamento del
paziente.
L'
anamnesi associativa è un metodo per mantenere la situazione
del colloquio non contaminata dai pregiudizi e dalle fantasie del
medico, e per scoprire le fantasie inconsce del paziente, i suoi
desideri, le sue inclinazioni, ed il rapporto tra tutto questo e quello
che il paziente lamenta, dove bisogna non solo registrare ciò che il
paziente ha detto, ma anche come lo ha detto.
In questo metodo si chiede al paziente di dire non solo ciò che pensa,
ma anche ciò che sente, si evitano domande chiuse e si fanno interventi
finalizzati a facilitare la comunicazione (tecnica associativa),
inoltre,
il clinico ha un ruolo passivo.
H.S. Sullivan (1954) propone un modello di colloquio per il disturbo psichico che si basa su 3 presupposti teorici:
- non si può mai isolare una personalità dal complesso di relazioni interpersonali in cui la persona vive
- la personalità si manifesta nelle situazioni interpersonali e in nessun altro modo
- gli atti di una persona hanno origine da un complesso di fattori
e la nostra osservazione di questi atti è influenzata dalle nostre
esperienze precedenti
Quindi l'attenzione si posta dall'intrapsichico all'interpersonale.
Sullivan cambia la definizione di
disturbo mentale, dicendo che
per avere un senso deve arrivare a coprire tutto il campo degli atti
inadeguati rispetto alle relazioni interpersonali.
In questo modello il clinico è un
osservatore-partecipante (con
ruolo attivo di conduttore che fa domande), che instaura un clima
emotivo favorevole per tentare di modificare i comportamenti del
paziente.
I presupposti del rapporto esperto cliente sono:
- il paziente è estraneo, e va trattato come tale
- le relazioni interpersonali sono soggette a mutamenti, anche nel corso del colloquio
- il paziente è una persona simile allo psichiatra, e come tale deve essere trattato
- lo psichiatra deve dare informazioni al paziente che gli consentano di capire il proprio funzionamento
M. Gill (1954) vuole creare un modello di colloquio
che sia al di là dei vari orientamenti (psicoanalitico, psichiatrico,
ecc...), ma che sia uno strumento adeguato alla realtà clinica del
paziente.
Secondo Gill:
- il colloquio è uno strumento diagnostico e terapeutico di
elezione in psichiatria, con l'obiettivo di instaurare un rapporto tra 2
persone sconosciute, di dare una valutazione della situazione
psicosociale del paziente e di rafforzare il desiderio del paziente di
intraprendere la terapia, e le finalità del colloquio sono la
formulazione della diagnosi e l'indicazione del trattamento, mentre le
aree da indagare riguardano la natura del disturbo, la motivazione al
trattamento, l'analisi dei fattori interni ed esterni
- l'andamento del colloquio è influenzato dalla personalità degli
interlocutori, dalle reciproche percezioni di ruolo, dagli scopi e dalla
tecnica usata
- la situazione del colloquio è ansiogena per entrambi gli
interlocutori, che mettono in atto azioni difensive in base alla loro
personalità
- fare bene il primo colloquio significa ottenere informazioni indispensabili per la diagnosi
- la tecnica di conduzione del colloquio cambia quando si passa dalla fase diagnostica a quella finalizzata all'indicazione
Dalla fine degli anni 60 ai primi anni 90
In questo periodo diminuisce l'importanza attribuita al colloquio
clinico perchè la teoria clinica ed i diversi modelli di disturbo
psichico subiscono molti cambiamenti, e con Bateson e la scuola di Palo Alto,
il disturbo psichico è considerato una conseguenza di una distorsione
della comunicazione e delle interazioni tra i membri del gruppo, e
quindi perde la connotazione medica.
Si riduce il potere esplicativo dei modelli organogenetici e psicogenetici ed aumenta quello dei sociogenetici.
Gli
indirizzi in psichiatria di questo periodo sono:
scuola |
teoria di riferimento |
campo di applicazione |
psichiatria biologica |
medicina |
farmacologia, studi genetici, ricerche sul SNC |
psichiatria psicoanalitica |
concetti psicoanalisi freudiana, psicologia dell'Io |
psicoterapia ad orientamento psicoanalitico e psicoanalisi |
psichiatria interpersonale |
psicologia sociale, psicologia evolutiva, teoria interpersonale |
psicoterapia con i pazienti schizofrenici, depressi o altri quadri psicopatologici gravi |
psichiatria sociale |
sociologia, antropologia, altre scienze sociali |
studi epidemiologici, psichiatria sociale e di comunità, sociologia |
psichiatria cognitivo-comportamentale |
learning theory, psicologia cognitiva, comportamentismo |
terapie comportamentali, terapie cognitive, trattamento sintomatico |
Modello organogenetico: psichiatria biologica
Si considera disease qualsiasi condizione che sia associata a fastidio,
dolore, invalidità, morte o una maggior propensione a tali condizioni,
che sia considerata dal medico e dal profano, propriamente di
responsabilità medica.
Per disease si intende un cluster di sintomi e/o segni che hanno
andamento più o meno prevedibile, inoltre il termine malattia mentale
include tutte le deviazioni che possono portare la persona a diventare
paziente, e si intende la malattia mentale come disease associato ad una
sindrome clinica o legato ad un disturbo biologico.
Modello sociogenetico: antipsichiatra
Gli psichiatri non si occupano di malattie mentali e del loro
trattamento, ma hanno a che fare con difficoltà di carattere personale,
sociale ed etico.
Modello psicogenetico: psichiatria psicoanalitica
I fenomeni mentali sono il risultato di un conflitto che deriva da forze
inconsce opposte che possono essere un desiderio e una difesa contro
tale desiderio, oppure diverse parti intrapsichiche con finalità
differenti, oppure un impulso in contrasto con la consapevolezza
interiorizzata delle richieste della realtà esterna.
Modello psicogenetico: pragmatica della comunicazione
La condizione del paziente non è statica, ma varia al variare della
situazione interpersonale e dell'ottica preconcetta
dell'osservatore, quindi si considerano i sintomi psichiatrici come un
comportamento che si adegua a una interazione in corso.
Modello psicogenetico: organizzazioni cognitive personali
Ottica sistemico-processuale dove si pensa che le molte manifestazioni
psicopatologiche siano ricondotte a pochi modelli di chiusura
organizzazionale, i quali possono produrre molti modelli cognitivi,
emotivi e motori nel tentativo di ordinare specifiche oscillazioni
perturbative.
Alla fine degli anni 60 esistono operatori di diversa formazione
(psichiatra, psicologo clinico, psicoterapeuta) che spesso propongono
metodologie d'intervento in conflitto tra loro, ci sono diverse
strutture di ricovero e molti psicofarmaci in circolazione.
Ogni modello cerca di circoscrivere il proprio territorio ed il
confronto e l'integrazione è molto problematico, c'è un clima di guerra
(es. psichiatri vs psicoterapeuti vs psicologi clinici) e la
conflittualità spesso è presente anche all'interno dello stesso modello.
Le strategie cliniche sono ancora limitate e la sofferenza psichica è
ancora di difficile definizione, si ha difficoltà quindi a dare le
definizioni anche per colpa di questi conflitti, e chi fa parte di una
determinata scuola definisce in un certo modo e opera metodologicamente
secondo il credo dei propri insegnanti, in contrasto con altre scuole.
Alla fine degli anni 60 prevale l'impronta
sociogenetica antipsichiatrica,
che ricollega la malattia mentale a disfunzioni sociali e usa di più
concetti come sentimenti, intuizione, empatia, incontro, sensibilità e
spontaneità al posto di concetti come analisi, verifica e valutazione.
In questo modello, la malattia mentale è vista come un insieme di comportamenti politicamente definiti e socialmente rinforzati.
In questo periodo si provano le forme alternative di ricovero (perchè si
criticano i manicomi come case di reclusione), come day hospital,
half-way houses, comunità terapeutiche, night hospital, ma
sopraggiungono problemi conseguenti alla deistituzionalizzazione (ci
sono ad esempio molti malati che vagano per le strade).
Col tempo il modello sociogenetico perde di interesse e riemerge il modello medico con l'interesse per la diagnosi, e nel
1968 esce il
DSM-II,
che però presenta diversi limiti: è vago, incoerente, debole
empiricamente, e quindi di scarsa utilità sia per i clinici che per gli
psichiatri che si occupano della ricerca.
Nel
1980 esce il
DSM-III, strumento nosografico-descrittivo di matrice psichiatrica, costituisce l'affermazione del modello medico di disturbo psichico.
Nel
1986 esce il
DSM-III-R, che modifica i
precedenti criteri diagnostici, cambia la classificazione di alcuni
disturbi come la schizofrenia, i disturbi affettivi, i disturbi
nevrotici e i disturbi di personalità.
Si afferma la visione multideterministica del disturbo psichico, che
afferma che l'etiologia della maggior parte dei disturbi è multipla, ha
quindi basi biologiche, sociali, psicologiche e quindi va curata con le
metodologie delle varie scuole.
E' vero cmq che ogni clinico usa un modello diagnostico specifico per la
propria scuola e quindi ad esempio esistono 3 modelli con trattamenti
diversi per il disturbo borderline.
La psicoterapia è la classe vincente (al posto della psichiatria), e da
li ogni tecnico usa le metodologie della propria scuola di appartenenza.
Si inizia a pensare alle indicazioni e alle controindicazioni
nell'utilizzo delle varie metodologie, e i presupposti per l'utilizzo di
tali metodologie sono:
- le psicoterapie usano metodologie diverse tra loro che prendono in considerazione aspetti diversi della vita del paziente
- le psicoterapie non producono gli stessi effetti
- le psicoterapie non sono procedure innocue
- esistono molte psicoterapie e spetta allo psicologo di scegliere quella adeguata
I trattamenti possono avere anche esito negativo e ciò può dipendere
dal paziente, dal terapeuta, dalla qualità della loro interazione, dagli
errori nell'uso della tecnica o dalla sua non idoneità, e quindi la
scelta del trattamento diventa molto importante, tanto che vengono
creati alcuni modelli per formalizzarla: il
modello multimodale, il
modello transteoretico (uno stesso sintomo in pazienti diversi può essere disturbante a livelli diversi), il
modello sistematico eclettico (prende in considerazione la complessità del sintomo, il potenziale di reattività, lo stile difensivo del paziente), il
modello differenziale (considera anche interventi non proprio psicoterapeutici ed è molto flessibile).
Dalla fine degli anni 60 fino agli anni 90 gli aspetti tecnici dello
strumento e il suo legame con la teoria clinica perdono significato,
nascono nuove terapie farmacologiche, gli operatori prestano poca
attenzione al colloquio, che prende un significato specifico solo
nell'ambito della tecnica terapeutica.
I lavori sul colloquio si dividono in:
- colloqui che usano il modello nosografico-descrittivo del DSM
- colloqui specializzati, organizzati in base ad uno specifico orientamento teorico
Si passa dal colloquio
insight-oriented al colloquio
symptom-behavior-oriented
che presuppone che i disturbi psichiatrici si manifestano con set
caratteristico di segni, sintomi e comportamenti, che abbiano un
andamento prevedibile, una specifica risposta al trattamento e una certa
familiarità, e l'obiettivo di questo tipo di colloquio è quello di
classificare i disturbi del paziente in base a categorie diagnostiche
definite.
Il
modello multifasico di
E. Othmer e
S.C. Ohtmer
è finalizzato a formulare una diagnosi nosografica DSM, dove si afferma
che il paziente ha i pezzi del rompicapo ed il clinico conosce il
disegno che deve ricomporre.
Per formulare una diagnosi con questo modello bisogna:
- osservare gli indizi diagnostici
- individuare il problema
- fare il follow-up delle impressioni iniziali
- fare anamnesi remota (raccogliere una anamnesi premorbosa per poter indagare sull'andamento del disturbo)
- ottenere un quadro completo
- fare la diagnosi
- prognosi
L'ordine di questi punti è spesso determinato dal paziente, per
questo motivo non esiste una modalità di colloquio adeguata per tutti i
pazienti.
Vengono creati
colloqui strutturati e semi-strutturati con lo scopo di risolvere il problema della scarsa validità e attendibilità diagnostica.
Si cerca di costringere il clinico a raccogliere i dati in maniera
preordinata e obbligarlo a riferirsi a categorie diagnostiche precise
che attribuiscono lo stesso significato a gruppi di sintomi, ci sono
quindi dei protocolli da seguire con domande precise da fare.
I
colloqui di tipo psicodinamico si dividono in
colloqui basati sulla dinamica delle strutture intrapsichiche e colloqui
centrati sulle relazioni oggettuali e il funzionamento interpersonale.
Gli obiettivi di questi colloqui sono di ottenere elementi significativi
(informazioni) e creare un'atmosfera che permetta al materiale
inconscio di emergere.
La relazione che si instaura col paziente non è definita a priori, ma
vuole cmq permettere al paziente di mostrasi per come è, e quindi il
colloquio va condotto in base alle caratteristiche del paziente, ed il
ruolo del clinico è quello dell'interlocutore che non interviene
attivamente nel colloquio, inoltre vanno valutate le qualità delle
relazioni oggettuali e l'organizzazione del mondo delle rappresentazioni
interne.
Le
funzioni dell'Io da valutare nel colloquio sono: rapporto con
la realtà, regolazione e controllo delle pulsioni sessuali e aggressive,
processi di pensiero, meccanismi di difesa, funzioni autonome, funzioni
sintetiche, relazioni oggettuali.
Le
funzioni del Super-Io da valutare sono invece: coscienza, ideale dell'Io.
Il risultato di questa psicoterapia è strettamente correlato con la comprensione che si ha del paziente.
L'
approccio comportamentale pone particolare attenzione
alla possibilità che il comportamento sia provocato da stimoli
ambientali, quindi una parte del colloquio deve essere orientata ad
identificare gli stimoli che possono provocare il comportamento
problematico, per poi analizzare le conseguenze di tale comportamento.
Secondo questo approccio ci sono aree comuni da indagare nei vari pazienti e aree specifiche in base al tipo di disturbo.
Il colloquio diagnostico di questo orientamento considera 3 modalità di
risposta conseguenti allo stimolo (comportamento manifesto, componenti
cognitive, attività fisiologica) e valuta quali eventi possono aver
contribuito a scatenare, ridurre o mantenere il comportamento, ed indaga
i pensieri e le emozioni che causano il comportamento-problema.
Bisogna indagare sugli antecedenti al problema (che possono essere di
tipo affettivo, somatico, comportamentali, cognitivi, legati
all'ambiente e ai rapporti interpersonali): nell'immediato
quali situazioni preesistenti al verificarsi della situazione
problematica rendono più probabile la sua comparsa, quali la rendono
meno probabile e quali altre situazioni precedenti influenzano ancora la
comparsa del problema.
Le aree di indagine sono: informazioni generali, dati evolutivi
(salute), problema attuale (evoluzione), natura del problema,
caratteristiche del problema, eziologia, mantenimento, trattamenti
precedenti, altro (motivazione, aspettative).
Gli anni 90
Si riduce la tendenza alla differenziazione tra i modelli di disturbo
psichico e aumenta quella a far cercare elementi di integrazione,
aumentando anche la concordanza tra le aree da indagare tra le varie
scuole e si pone di più l'attenzione al trattamento più adeguato per il
paziente.
Il tentativo di integrazione dei modelli è reso possibile grazie a 3 fattori:
- la minor considerazione della validità e attendibilità della diagnosi psichiatrica
- il riconoscimento dei limiti intrinseci alla scelta di ateoricità dei DSM
- il riconoscimento della multicausalità dei disturbi psichici
Si incomincia a delineare in psichiatria la figura di un operatore
della salute mentale, che pur avendo alcune specificità dovute alla
propria scuola, ha aree di intervento comuni: la formulazione della
diagnosi e della prognosi, l'indicazione e la controindicazione ai
trattamenti.
La diagnosi può assumere caratteristiche negative se diventa:
- un esercizio di incasellamento nosologico al posto che un processo di chiarificazione
- un rapporto statico e passivo con il paziente
- un'attività prevalentemente centrata sul clinico invece che un compito condiviso con il paziente
L'efficacia del trattamento è la conseguenza di una serie di
decisioni specifiche e mirate prese in momenti successivi, e quindi non è
possibile sviluppare un trattamento efficace con informazioni prese
solo in un determinato momento o in base a caratteristiche statiche di
un paziente.
Gli anni 90 si contraddistinguono perchè vogliono diagnosticare e
curare al di là dei modelli delle scuole, si è smesso di cercare il
trattamento più efficace in assoluto e si è iniziato a considerare
l'efficacia dei singoli modelli a seconda dei casi specifici.
Si è fatta differenziazione tra
colloqui specializzati e
colloqui clinici di consultazione,
dove i primi sono organizzati in base ad un preciso orientamento
teorico, mentre i secondi impostano tutto in base ad ogni singolo caso
specifico (il colloquio clinico, se ben condotto, non deve avere nessuna
scelta preordinata).
Si scopre la necessità di una buona
alleanza diagnostica,
che è un rapporto emotivo particolare tra clinico e paziente che
consente di trovare uno o più oggetti comuni di lavoro, dove entrambi
abbiano un ruolo e delle competenze da mettere a disposizione per
svolgere il compito pattuito.
Questa alleanza è un risultato dovuto alle capacità del clinico e alle
caratteristiche personali del paziente (comprese le sue esperienze
passate), ed è la condizione fondamentale perchè si possa formulare la
diagnosi, nonché la garanzia implicita dell'attenzione al modello del
paziente.
Nel
1993 J. Morrison svolge un lavoro sul primo
colloquio, rivolgendosi a tutti gli operatori, affermando che
l'operatore fa un buon colloquio se sa ottenere nel minor tempo
possibile le informazioni necessarie per la diagnosi e l'indicazione al
trattamento, mantenendo al tempo stesso una buona alleanza di lavoro.
Secondo Morrison tutti i clinici dovrebbero riuscire a vedere il
paziente dal punto di vista biologico, dinamico, sociale e
comportamentale, dato che ogni paziente può aver bisogno di trattamento
in una o più di queste aree.