I problemi che più si incontrano nella raccolta dati sono:
Alcune tecniche di colloquio hanno lo scopo di raccogliere il maggior numero di informazioni, altre quello di intervenire sugli aspetti e i motivi della comunicazione, e non esiste una tecnica migliore in assoluto, ma si usa la tecnica in base alle esigenze.
Domande aperte e chiuse
Le domande aperte permettono risposte individuali, mentre le chiuse non incoraggiano il paziente ad aggiungere più informazioni del dovuto, ma possono essere utili per risparmiare tempo.
Le domande aperte possono fare esprimere quello che si sente, ma non è possibile dare una risposta si/no.
Le domande chiuse richiedono una risposta specifica e non c'è spazio per l'interpretazione, possono far sentire il paziente come interrogato, possono far pensare al paziente di dover rispondere solo se interrogati, possono far fornire solo poche informazioni ai pazienti con poche capacità verbali.
Le domande possono seguire il flusso del discorso del paziente o uno schema prestabilito, o si possono integrare entrambi i metodi a seconda delle situazioni.
Alcuni colloqui non strutturati possono dare problemi ad alcuni pazienti, che senza indicazioni precise si possono bloccare, viceversa invece, colloqui troppo strutturati possono far venire l'ansia a pazienti predisposti.
Esistono interviste strutturate e semi-strutturate, dove si indaga su cluster specifici e si cerca di inquadrare il paziente in una categoria diagnostica, tuttavia il clinico non deve esser troppo rigido chiedendo solo ciò che c'è nei suoi schemi, perchè alcuni pazienti possono rientrare in schemi diversi e si rischia di perdersi qualcosa, ma bisogna anche stare attenti a non chiedere cose che vanno al di là dei problemi del paziente.
Morrison suggerisce di iniziare con l'approccio non strutturato, per familiarizzare meglio con il paziente, e poi passare a quello strutturato.
Quindi quando si cerca di stabilire il rapporto iniziale con il paziente (livello 1) si usano una sequenza di domande non strutturate, aperte, mentre quando si passa al livello 2, ovvero quando il clinico vuole individuare la categoria diagnostica del paziente, si usano domande non strutturate assieme a domande chiuse, nel livello 3 invece, quando si vuole confermare l'ipotesi diagnostica, si usano domande strutturate e chiuse (spesso prese direttamente dal DSM-IV), infine nel livello 4, quando si vuol individuare il livello di menomazione del paziente e il livello di stress esperito, la sequenza delle domande è strutturata e le domande sono aperte.
Tecniche di facilitazione
Includono tutto ciò che serve a facilitare la comunicazione, come ad esempio l'annuire, il fare interessato, l'essere attenti.
Si può fare distinzione in tecniche direttive e tecniche non direttive, queste ultime sono la reiterazione a riflesso semplice (incoraggiare il paziente a continuare un argomento), il dare risposte riflesso, la sintesi, la riformulazione, il riflesso parziale, mentre le tecniche direttive sono il ricondurre il paziente a quanto stava dicendo, il favorire il passaggio da un argomento ad un altro.
Le tecniche principali di facilitazione sono:
Tecniche di chiarificazione
Le tecniche usate per ottenere risposte più soddisfacenti sono:
Sono diverse le tecniche usate al fine di introdurre un cambiamento:
Una volta raccolte le informazioni, bisogna usarle correttamente, senza farsi fuorviare da ipotesi non verificate.
Ragionamento clinico
E' un elemento fondamentale che determina le domande da fare, e permette a posteriori di comprendere il tipo di errore e le motivazioni sottese, ed ha la seguente struttura:
Osservazione ed interpretazione
I dati osservati sono i dati del paziente immagazzinati nella mente del clinico senza modificazione (dati grezzi), mentre i dati inferiti sono i dati del paziente che diventano oggetto di inferenza o osservazione.
Scopo dell'inferenza è quello di collegare i dati in quanto simili per poter formulare ipotesi cliniche, inoltre, i dati rilevati sono oggettivi in senso stretto e non esiste osservazione che sia indipendente dalla teoria.
L'inferenza è il procedimento logico che permette di derivare certe conseguenze da una o più premesse, mentre l'induzione è il metodo di ragionamento scientifico secondo cui dall'osservazione di 2 o più casi particolari si arriva a delle generalizzazioni.
Il clinico per fare l'inferenza usa sia la deduzione che l'induzione, e deve tenere conto anche di informazioni non presenti nei dati osservati, inoltre, la fase di osservazione precede sempre l'interpretazione e la spiegazione.
Per formulare ipotesi il clinico deve interpretare, deve raggruppare i sintomi in sindromi, e per trarre inferenze dai dati osservati spesso si usa la valutazione del valore probabilistico.
Il clinico può prendere decisioni facendosi aiutare dalla letteratura medica e dalla sua esperienza personale.
Osservazione ed inferenza
L'osservazione precede l'inferenza ed i suoi scopi sono quelli di ottenere dati grezzi che possono essere riutilizzati successivamente, inoltre la possibilità d'errore è ridotta.
Gli svantaggi sono che senza inferenza, il clinico deve prendere i dati per come sono e non si procede molto nella comprensione della patologia.
L'inferenza avviene in una seconda fase ed è fatta sui dati osservati, per individuare dati simili o correlati che servono a formulare e a confermare le ipotesi cliniche.
Gli svantaggi dell'inferenza sono che è un modello complesso in cui sono implicate le strutture cognitive del clinico, compresi i suoi errori, il suo orientamento teorico, le variabili del contesto, e quindi si ha maggiore probabilità d'errore.
L'errore clinico
Gli errori sono classificati in base alla:
Quando si presenta un paziente con ansia, il clinico deve chiedergli di descrivere il suo essere ansioso ("cosa intende quando dice di essere ansioso?").
Si distingue in ansia normale/fisiologica e ansia anormale/patologica.
L'ansia è associata all'anticipazione di eventi futuri e rappresenta un fattore emotivo necessario per fronteggiare un'emergenza fisica o psicosociale, in quanto diventa una spinta all'azione.
Quando però l'aumento d'ansia non migliora la prestazione, l'ansia diventa patologica, ed è considerata anormale quando la risposta emotiva e i comportamenti ad essa correlati:
Il clinico deve indagare dunque sulla natura dell'ansia, ed escludere l'influenza di eventuali variabili esterne come la preoccupazione dovuta al lavoro, alla scuola, o a delle responsabilità temporanee.
Bisogna inoltre escludere la prevalenza di una componente organica, tramite un modello organogenetico della malattia, secondo il quale il sintomo patologico è una struttura, una funzione, un comportamento che subisce un processo di alterazione, a causa di anomalie fisiologiche o biochimiche a livello del sistema nervoso centrale.
Questo modello deve dunque prevedere:
Esclusa l'ipotesi organica bisogna valutare se l'ansia sia un sintomo di qualche altro disturbo mentale, usando alcuni criteri che permettono di differenziare tra quadri simili.
L'ansia può essere un disturbo correlato ad altri disturbi, quindi il clinico deve scoprire se si tratta di un disturbo specifico d'ansia o se l'ansia fa parte di un quadro psicopatologico differente (anche in questo caso il DSM-IV è il giusto strumento di consultazione).
- Il paziente non fornisce le informazioni richieste: il colloquio è muto, non c'è alleanza (magari a causa di un grave disturbo psicopatologico del paziente).
- Le informazioni ottenute non sembrano credibili.
- Il clinico non ha le competenze necessarie per condurre il colloquio con quel determinato paziente (ad esempio, pazienti abusati, con tendenze suicide, drogati, necessitano di particolari tecniche d'indagine).
Tecniche di conduzione del colloquio
Alcune tecniche di colloquio hanno lo scopo di raccogliere il maggior numero di informazioni, altre quello di intervenire sugli aspetti e i motivi della comunicazione, e non esiste una tecnica migliore in assoluto, ma si usa la tecnica in base alle esigenze.
Domande aperte e chiuse
Le domande aperte permettono risposte individuali, mentre le chiuse non incoraggiano il paziente ad aggiungere più informazioni del dovuto, ma possono essere utili per risparmiare tempo.
Le domande aperte possono fare esprimere quello che si sente, ma non è possibile dare una risposta si/no.
Le domande chiuse richiedono una risposta specifica e non c'è spazio per l'interpretazione, possono far sentire il paziente come interrogato, possono far pensare al paziente di dover rispondere solo se interrogati, possono far fornire solo poche informazioni ai pazienti con poche capacità verbali.
Le domande possono seguire il flusso del discorso del paziente o uno schema prestabilito, o si possono integrare entrambi i metodi a seconda delle situazioni.
Alcuni colloqui non strutturati possono dare problemi ad alcuni pazienti, che senza indicazioni precise si possono bloccare, viceversa invece, colloqui troppo strutturati possono far venire l'ansia a pazienti predisposti.
Esistono interviste strutturate e semi-strutturate, dove si indaga su cluster specifici e si cerca di inquadrare il paziente in una categoria diagnostica, tuttavia il clinico non deve esser troppo rigido chiedendo solo ciò che c'è nei suoi schemi, perchè alcuni pazienti possono rientrare in schemi diversi e si rischia di perdersi qualcosa, ma bisogna anche stare attenti a non chiedere cose che vanno al di là dei problemi del paziente.
Morrison suggerisce di iniziare con l'approccio non strutturato, per familiarizzare meglio con il paziente, e poi passare a quello strutturato.
Quindi quando si cerca di stabilire il rapporto iniziale con il paziente (livello 1) si usano una sequenza di domande non strutturate, aperte, mentre quando si passa al livello 2, ovvero quando il clinico vuole individuare la categoria diagnostica del paziente, si usano domande non strutturate assieme a domande chiuse, nel livello 3 invece, quando si vuole confermare l'ipotesi diagnostica, si usano domande strutturate e chiuse (spesso prese direttamente dal DSM-IV), infine nel livello 4, quando si vuol individuare il livello di menomazione del paziente e il livello di stress esperito, la sequenza delle domande è strutturata e le domande sono aperte.
Tecniche di facilitazione
Includono tutto ciò che serve a facilitare la comunicazione, come ad esempio l'annuire, il fare interessato, l'essere attenti.
Si può fare distinzione in tecniche direttive e tecniche non direttive, queste ultime sono la reiterazione a riflesso semplice (incoraggiare il paziente a continuare un argomento), il dare risposte riflesso, la sintesi, la riformulazione, il riflesso parziale, mentre le tecniche direttive sono il ricondurre il paziente a quanto stava dicendo, il favorire il passaggio da un argomento ad un altro.
Le tecniche principali di facilitazione sono:
- Riformulazione: il clinico ripete le parole chiave del discorso del soggetto in forma interrogativa.
- Reiterazione a riflesso semplice: il clinico riassume le parole del soggetto, in modo da dargli un feedback ed incoraggiarlo a continuare.
- Sintesi: riproduce i temi importanti e crea le connessioni tra problemi correlati.
- Risposta-riflesso: facilita la presa di coscienza autonoma dell'esperienza vissuta, ed è utile se il paziente ha l'impressione di non riuscire a spiegarsi, producendo un effetto positivo su di esso.
- Riflesso parziale: il clinico sceglie solo gli argomenti che son degni di essere approfonditi.
- Sostegno: è lo strumento attraverso il quale il clinico comunica il proprio interesse e la propria comprensione verso ciò che si sta dicendo.
- Interventi di rassicurazione: parole e azioni per tranquillizzare il paziente.
- Verbalizzazione dei sentimenti: il clinico ripropone al paziente quelli che gli son sembrati i sentimenti che sono emersi dal discorso.
- Riflesso dei sentimenti: il clinico cerca di far vedere che ha capito tramite parafrasi emotive.
- Validazione dei sentimenti: tecnica direttiva dove il clinico fa affermazioni che supportano i sentimenti espressi dal paziente (può ridurre l'ansia).
Tecniche di chiarificazione
Le tecniche usate per ottenere risposte più soddisfacenti sono:
- Specificazione: tramite domande chiuse.
- Generalizzazione: si usano per eludere le risposte troppo specifiche, usando termini come di solito, spesso.
- Verifica dei sintomi: si elencano dei sintomi per aiutare il paziente a riconoscersi.
- Indagine: favorire il passaggio da un argomento ad un altro, riportare all'argomento precedente, usare domande dirette o indirette, son tutte tecniche di indagine.
- Mettere in relazione reciproca: per stabilire nessi spazio-temporali e causali tra i dati emersi nel colloquio.
- Sintesi: tecnica non direttiva dove si riassumono i punti cruciali nei pazienti dispersivi e vaghi, essa può essere informale (si esplicita che lo si fa per voler esser sicuri di aver capito ciò che è stato detto), interattiva (si fanno pause per far intervenire il paziente), supportiva (finalizzata a sostenere quanto detto dal paziente).
- Parafrasi: ripetizione di quanto detto dal paziente in modo più chiaro o più dettagliato, senza modifiche o aggiunte, può essere: generica (senza valutazioni), sensory based (il clinico può stabilire una profonda relazione col paziente se usa le sue stesse espressioni sensoriali, tipo "mi sembra", "mi sento"), metaforica.
- Chiarificazione: Secondo Kernberg consiste nell'esplorare con il paziente tutte le informazioni non chiare fornite da questi, è uno strumento cognitivo che non mette in crisi il paziente e mira ad esplorare i limiti della consapevolezza di un determinato materiale, tuttavia, se l'informazione non è legata a scopi terapeutici è meglio non chiarificarla, inoltre, se l'informazione è importante ma non ben articolata, il clinico può decidere di aspettare per vedere se il paziente riesce da solo ad esprimersi meglio.
Sono diverse le tecniche usate al fine di introdurre un cambiamento:
- Ristrutturazione cognitiva: il clinico riformula i convincimenti e gli atteggiamenti del paziente, in modo da fornire una diversa prospettiva ed eliminare eventuali pregiudizi.
- Messa a confronto: rivolge l'attenzione del paziente verso qualcosa di cui non è perfettamente conscio, il clinico mostra al paziente le discrepanze tra ciò che dice, da come è e come si comporta (Secondo Kernberg, si fa notare il conflitto tra conscio e preconscio, in presenza di operazioni difensive), è una tecnica rischiosa perchè può far venire ansia e far negare l'evidenza.
- Interpretazione: serve per aiutare il paziente ad avere una maggiore conoscenza di se e una più accurata percezione della realtà, cerca di risolvere la natura conflittuale del materiale, ipotizzando motivazioni e difese inconsce che fanno apparire logico quello che prima era contraddittorio (visione psicoanalitica di Kernberg).
- Silenzio: si esercita minor controllo e si lascia spazio al paziente, il quale può esprimersi anche con il linguaggio del corpo (sbattendo le ciglia, dalla postura), può cercare di capire cosa il clinico pensa, può usare il silenzio per riordinare le idee, il silenzio può instaurare un clima di ascolto e d'intesa, può essere usato per fantasticare, può essere una manifestazione di resistenza, oppure può essere vuoto e privo di significato (al clinico l'arduo compito di capire che silenzio è, e decidere se interromperlo o meno).
Dal dato clinico all'indicazione del trattamento
Una volta raccolte le informazioni, bisogna usarle correttamente, senza farsi fuorviare da ipotesi non verificate.
Ragionamento clinico
E' un elemento fondamentale che determina le domande da fare, e permette a posteriori di comprendere il tipo di errore e le motivazioni sottese, ed ha la seguente struttura:
- acquisizione dati
- sviluppo ipotesi
- interpretazione dati
- valutazione ipotesi (rifiuto, modificazione, accettazione).
- elicitare, riconoscere ed interpretare i dati rilevati
- raggruppare i primi elementi emersi e formulare alcune interpretazioni
- indagare le ipotesi preliminari
- individuare eventuali discrepanze e l'evidenza clinica delle ipotesi
- riformulare ipotesi sulla base delle discrepanze
- confrontare il quadro teorico emerso dal paziente con il quadro teorico di quella determinata situazione
Osservazione ed interpretazione
I dati osservati sono i dati del paziente immagazzinati nella mente del clinico senza modificazione (dati grezzi), mentre i dati inferiti sono i dati del paziente che diventano oggetto di inferenza o osservazione.
Scopo dell'inferenza è quello di collegare i dati in quanto simili per poter formulare ipotesi cliniche, inoltre, i dati rilevati sono oggettivi in senso stretto e non esiste osservazione che sia indipendente dalla teoria.
L'inferenza è il procedimento logico che permette di derivare certe conseguenze da una o più premesse, mentre l'induzione è il metodo di ragionamento scientifico secondo cui dall'osservazione di 2 o più casi particolari si arriva a delle generalizzazioni.
Il clinico per fare l'inferenza usa sia la deduzione che l'induzione, e deve tenere conto anche di informazioni non presenti nei dati osservati, inoltre, la fase di osservazione precede sempre l'interpretazione e la spiegazione.
Per formulare ipotesi il clinico deve interpretare, deve raggruppare i sintomi in sindromi, e per trarre inferenze dai dati osservati spesso si usa la valutazione del valore probabilistico.
Il clinico può prendere decisioni facendosi aiutare dalla letteratura medica e dalla sua esperienza personale.
Osservazione ed inferenza
L'osservazione precede l'inferenza ed i suoi scopi sono quelli di ottenere dati grezzi che possono essere riutilizzati successivamente, inoltre la possibilità d'errore è ridotta.
Gli svantaggi sono che senza inferenza, il clinico deve prendere i dati per come sono e non si procede molto nella comprensione della patologia.
L'inferenza avviene in una seconda fase ed è fatta sui dati osservati, per individuare dati simili o correlati che servono a formulare e a confermare le ipotesi cliniche.
Gli svantaggi dell'inferenza sono che è un modello complesso in cui sono implicate le strutture cognitive del clinico, compresi i suoi errori, il suo orientamento teorico, le variabili del contesto, e quindi si ha maggiore probabilità d'errore.
L'errore clinico
Gli errori sono classificati in base alla:
- sede
- natura
- motivazione
- nel trattamento delle informazioni
- nella scelta dei modelli causali
- nella presa di decisioni
- non si traduce il dato osservato in unità informativa
- non si valuta il valore probativo
- dal cattivo uso di termini o teorie
- dal ricorso improprio ad operazioni di deduzione e induzione
- da una formulazione erronea di criteri di probabilità
- dalla mancata considerazione di ipotesi alternative
- la non conoscenza della clinica
- i bias cognitivi
- l'adesione senza critica ad un modello teorico
- ci sembrano interdipendenti (collegamento causale, filetico, finalistico)
- ricorriamo a strutture schematiche o illusorie
Pazienti con ansia
Quando si presenta un paziente con ansia, il clinico deve chiedergli di descrivere il suo essere ansioso ("cosa intende quando dice di essere ansioso?").
Si distingue in ansia normale/fisiologica e ansia anormale/patologica.
L'ansia è associata all'anticipazione di eventi futuri e rappresenta un fattore emotivo necessario per fronteggiare un'emergenza fisica o psicosociale, in quanto diventa una spinta all'azione.
Quando però l'aumento d'ansia non migliora la prestazione, l'ansia diventa patologica, ed è considerata anormale quando la risposta emotiva e i comportamenti ad essa correlati:
- compaiono senza che ci sia uno stimolo a elicitarli
- sono spropositati rispetto all'entità dello stimolo
- persistono anche quando lo stimolo è scomparso
- sono inadeguati rispetto alla realtà dello stimolo stesso
Il clinico deve indagare dunque sulla natura dell'ansia, ed escludere l'influenza di eventuali variabili esterne come la preoccupazione dovuta al lavoro, alla scuola, o a delle responsabilità temporanee.
Bisogna inoltre escludere la prevalenza di una componente organica, tramite un modello organogenetico della malattia, secondo il quale il sintomo patologico è una struttura, una funzione, un comportamento che subisce un processo di alterazione, a causa di anomalie fisiologiche o biochimiche a livello del sistema nervoso centrale.
Questo modello deve dunque prevedere:
- la descrizione dei sintomi e delle principali caratteristiche del discorso
- l'identificazione della patologia
- l'evoluzione del disturbo
- la determinazione delle cause
Esclusa l'ipotesi organica bisogna valutare se l'ansia sia un sintomo di qualche altro disturbo mentale, usando alcuni criteri che permettono di differenziare tra quadri simili.
L'ansia può essere un disturbo correlato ad altri disturbi, quindi il clinico deve scoprire se si tratta di un disturbo specifico d'ansia o se l'ansia fa parte di un quadro psicopatologico differente (anche in questo caso il DSM-IV è il giusto strumento di consultazione).