Bisogna innanzitutto distinguere tra utente, colui che usufruisce di un servizio pubblico, e cliente, colui che abitualmente si avvale delle prestazioni di qualcuno.
Chi si rivolge al clinico lo fa perchè prova disagio, ma non sempre
questa percezione è corretta, spesso è distorta, e il primo compito del
clinico è quello di valutare se la persona si sta rivolgendo al tecnico giusto.
Se le variabili intrapsichiche e interpersonali sono secondarie rispetto
a elementi oggettivi di realtà, è molto probabile che sia necessario
prima il parere di un tecnico diverso dallo psicologo, viceversa,
l'intervento dello psicologo clinico può essere prioritario.
La richiesta di parere da parte del paziente è sempre esito di un processo decisionale,
dove, grado di preoccupazione, causa della preoccupazione e percezione
di malessere sono variabili soggettive correlate con l'organizzazione
della personalità del soggetto.
Uno stesso disturbo può avere significati diversi, bisogna valutare
dunque se è un problema evolutivo, un disagio momentaneo o una malattia
(tramite il ragionamento diagnostico).
Quando si hanno poche informazioni, per creare ordine e coerenza si usano i modelli.
Un modello può spiegare un insieme di fatti o punti di vista e quindi aumentare la comprensione.
Il clinico deve dunque individuare il modello o i modelli più idonei per la comprensione del fenomeno osservato.
Secondo Engel, un modello non è altro che un sistema di credenze,
e cmq di solito, la scelta del modello viene fatta a priori e
mantenuta, diventando una scelta ideologica.
La tendenza a mantenere un modello teorico nonostante i dati non ne
confermino sempre la bontà può essere dovuta a: l'influenza dei
colleghi, la lettura dei soli articoli che confermano il modello
prescelto, l'esperienza clinica che viene usata per confermare le
proprie credenze.
E' invece importante che la scelta del modello sia determinata
non dalla scuola di appartenenza, ma da convincimenti scientifici e
dall'evidenza clinica, perchè la scelta del modello determina la
definizione del disturbo psichico ed i criteri in base ai quali un
sintomo è attribuito ad uno stato morboso e la relazione con la persona
affetta.
L'uso del modello può essere un supporto ma anche un ostacolo per la
raccolta dei dati, dato che a seconda del modello vengono usati metodi
diversi d'indagine, non sempre adatti alle situazioni che si presentano,
quindi l'utilizzazione acritica di un modello può essere fonte
d'errore.
I modelli di disturbo psichico sono:
- organogenetico (medico, biologico): il disturbo psichico è descritto ed analizzato secondo il modello meccanico di malattia, dove il sintomo patologico è una struttura, una funzione, un comportamento che subisce un'alterazione a causa di anomalie fisiologiche o biochimiche a livello di sistema nervoso centrale.
- sociogenetico: disturbo psichico descritto ed analizzato come reazione sana ad una società malata, dove alcuni comportamenti devianti sono conseguenza dell'ambiente sociale.
- psicogenetico psicoanalitico: disturbo descritto ed analizzato come esito di un conflitto intrapsichico che va interpretato.
- psicogenetico comportamentistico: disturbo descritto ed analizzato come comportamento inadeguato, risultato di un processo d'apprendimento.
- psicogenetico cognitivo: disturbo descritto ed analizzato come la conseguenza dell'attivazione di un sistema di codificazione più primitivo che modifica la processazione delle informazioni (bias sistematico).
- psicogenetico sistemico: disturbo descritto ed analizzato come un deficit dei processi transazionali di adattamento, dove i sintomi sono gli effetti pragmatici della comunicazione umana.
- bio-psico-sociale: disturbo descritto ed analizzato attribuendo importanza uguale a fattori biologici, psicologici e sociali.
L'uso corretto dei modelli è possibile se il clinico: conosce le indicazioni e le controindicazioni, ha buone capacità di diagnostica ed osservazione, sa instaurare un'alleanza diagnostica con il paziente, prende le decisioni in tempo utile, sa comunicare e motivare la decisione presa.
Il problema del paziente
La sensazione o il cambiamento rilevato (indizio) assumono un significato specifico (sintomo) solo se inseriti in un quadro di riferimento specifico (la malattia, della quale non esiste ancora una definizione soddisfacente).
Il paziente percepisce la malattia come la perdita della precedente condizione di salute, ed ad essa attribuisce valori e paure in base alla propria personalità, ma anche e soprattutto in base al contesto in cui vive (società, mass media).
La persona si considera infine malata, quando la propria sensazione di non star bene viene confermata dal medico.
Secondo Goffman, lo stigma è un attributo altamente disturbante a livello sociale, e secondo Jones, prima c'è una deviazione dalla norma e successivamente questa deviazione viene affetta da attributi indesiderabili agli occhi degli altri.
Il disturbo psichico implica una situazione di sofferenza personale che deteriora le relazioni interpersonali ed il benessere del singolo individuo.
Inoltre, le credenze e gli stereotipi riducono la capacità di diagnosticare il proprio malessere e di chiedere aiuto.
Riconoscere la sofferenza
A parità di sintomatologia, alcune persone si sentono malate e chiedono aiuto, altre no.
Le condizioni che incidono sulla capacità di rilevare la propria sofferenza sono:
- il valore soggettivo attribuito al sintomo
- la maggiore o minore capacità di coping (gli sforzi cognitivi e comportamentali finalizzati alla gestione di specifiche richieste interne/esterne percepite dal soggetto come eccessivamente gravose e superiori alla sue risorse personali).
- la volontà di negare la malattia
- la personalità del soggetto, la sua cultura, la sua società, i suoi obiettivi
Inoltre il paziente deve ritenere che la sua condizione è modificabile (guaribile), deve vincere la vergogna, la paura di rivolgersi a qualcun altro e quindi la scelta di rivolgersi a qualcuno è il risultato di un processo diagnostico in proprio.
I sintomi sono le informazioni che derivano da consapevoli sensazioni del malato, mentre i segni sono i rilievi che osservatore e malato ricavano dall'osservazione obiettiva.
Quando c'è valutazione diagnostica, si può distinguere in:
- sintomi e segni probativi e patognomonici, che permettono il riconoscimento certo di malattia
- sintomi e segni probativi ma non patognomonici (detti oppositivi), dove la presenza di questi implica una probabilità a priori negativa o molto bassa che si tratti di una certa malattia
- sintomi e segni non patognomonici o probabilistici, ovvero quelli di cui si calcolano le probabilità a posteriori
- abbiano anche loro un disturbo psichico
- la malattia del familiare vada in conflitto con la rappresentazione di sè, mettendoli in difficoltà ad accettare la cosa
- percepiscono la malattia del familiare come qualcosa di normale, che anche loro pensano di aver provato in passato
La richiesta d'aiuto
Il paziente chiede solitamente aiuto dopo che:
- si convince che la buona volontà non serve
- la voglia di guarire è maggiore della paura di esser considerato matto
- pensa sia utile parlare con qualcuno di quello che gli accade
- crede che questi possa risolvere velocemente i problemi
- si è autodiagnosticato un disturbo psichico
- è disperato e senza risorse
- è disorientato perchè nessuno in famiglia ha mai avuto ciò che ha lui
- ha la tendenza a far risolvere dagli altri i propri problemi
- in famiglia c'è pregiudizio quindi ne parla meglio all'esterno
- è rassicurato che un'altra persona si assuma la responsabilità della situazione
Variabili come ansia o paure influiscono negativamente nella scelta.
La scelta dello specifico tecnico (psicoanalista, psicoterapeuta, neurologo, ecc..) è la risultante di 3 criteri:
- Il modello etiopatogenetico usato dal paziente: la
specificità del tecnico a cui si rivolge il paziente dipende dall'esito
del processo di individuazione delle cause del disturbo (se la causa
della sofferenza è imputata a cause organiche, andrà dal medico del
corpo, se invece è imputata a cause psichiche, andrà dal medico della
mente).
Se il paziente non sa quale sia l'origine del male, sceglie la vai più facile (ad esempio il medico di famiglia), inoltre, si ha la bias del paziente quando c'è la propensione a considerare gli aspetti emotivi del problema (questi pazienti richiedono velocemente il trattamento del clinico e tollerano poco la diagnosi). - L'accessibilità del clinico: vari motivi (orari in conflitto con il proprio lavoro, lontananza, lunghi tempi d'attesa, ecc...) possono portare a cercare un tecnico in base all'accessibilità.
- L'esito delle situazioni considerate simili: il paziente
predilige il criterio di familiarità al criterio di competenza, si
scambia informazioni con conoscenti su chi è un bravo dottore, pensa che
se questi ha risolto i problemi di un suo conoscente può risolvere
anche i suoi.
I pazienti spesso scelgono più in base al carattere del medico che in base alle competenze, cmq i motivi sottesi alla decisione del paziente di rivolgersi ad un tecnico forniscono informazioni sul suo funzionamento psichico e consentono di comprendere i criteri in base ai quali ha scelto le informazioni che fornirà nella consultazione.
Inoltre, la prima impressione del clinico sul paziente perdura a causa dell'effetto di ancoraggio, anche quando non viene confermata dall'evidenza.
Gli strumenti dello psicologo clinico
La diagnosi è il primo passo nel processo tecnologico che permette di trasformare una persona con un fastidio non ben precisato in un paziente con un disturbo psichico definito, essa serve per fare predizioni sul comportamento del paziente, la lunghezza del trattamento ed il tipo di intervento da attuare.
Il processo diagnostico è l'iter che il paziente percorre assieme al clinico allo scopo di rilevare e circoscrivere l'ampiezza e l'entità dei disturbi lamentati, attribuire loro un significato e individuare possibili strategie d'intervento per ridurre, modificare, eliminare, la causa della sofferenza.
Nel processo diagnostico bisogna:
- ascoltare attentamente le informazioni fornite dal paziente e capire cosa egli dica
- decidere se il paziente si sta rivolgendo al tecnico giusto
- stabilire se il disturbo lamentato corrisponde col disturbo realmente posseduto
- individuare le informazioni significative che possono esser state omesse
- acquisire le informazioni necessarie per scartare ipotesi errate o risolvere dubbi diagnostici
- formulare una diagnosi che può anche non corrispondere con quella fatta dal paziente
Il clinico deve ascoltare quello che dice il paziente e deve vincere la tentazione di catalogare e teorizzare tutto ciò gli viene riferito, e nel processo diagnostico, il clinico dai primi sintomi può formulare delle ipotesi, poi fare altre supposizioni, riformulare le ipotesi iniziali se necessario, ed in fine, quando ci sono abbastanza dati, prendere delle decisioni (assumendosi delle responsabilità).
Il ragionamento clinico
E' la trasformazione di giudizi inconsci, sensazioni e conoscenze in qualcosa di più esplicativo, ed il suo punto di partenza è di solito costituito da piccoli indizi.
Il ragionamento clinico deve essere:
- pronto ad esplorare nuove strade
- attento ad individuare problemi e soluzioni
- disponibile a ristrutturare la propria comprensione in base ai dati ottenuti
- convinto che conoscenze e comprensioni sono dovute ai propri processi cognitivi
- capace di assumere punti di vista opposti rispetto ad un unico argomento
- capace di distinguere aspetti originali da bizzarrie
- capace di individuare la complessità del problema e le priorità
- capace di cogliere i feedback, non prendendo tutto per buono ciò che arriva dalla società e la cultura corrente
Può succedere che osservando il paziente: si osservi solo quello che si vuole rilevare, si tiene conto solo delle informazioni che confermano le proprie ipotesi, si pongano domande in modo da provocare solo i comportamenti di conferma.
Il ricorso ad euristiche (rappresentatività, disponibilità, ancoraggio) permette di semplificare i processi decisionali, ma anche essere fonte d'errore, inoltre il loro utilizzo è spesso automatico ed inconscio.
Il clinico inoltre può compiere i seguenti errori:
- può essere troppo sottomesso alla propria teoria di riferimento
- può sentire la necessità di etichettare subito tutto
- può essere troppo preoccupato a raccogliere dati, tralasciando gli aspetti qualitativi della comunicazione
- non dar spazio ad altro materiale emerso, se non presente nella propria griglia
Gli errori del clinico
Il ragionamento clinico si scompone in:
- trattamento delle informazioni: acquisizione dei dati, formulazione di ipotesi, interpretazione dei dati, valutazione delle ipotesi
- impiego di modelli causali
- presa di decisione
Gli errori commettibili nell'acquisire informazioni sono:
- immettere un dato di osservazione errato o valutato scorrettamente
- accettare termini impropri o imprecisi di cui non si conosce il reale significato per il paziente
- immettere dati non rilevanti che ostacolano il processo di interpretazione
- ridurre o non rilevare i dati che porterebbero ad esiti negativi
- nel processo di catalogazione e comparazione dei quadri morbosi
- nella spiegazione deduttiva
- nella spiegazione induttiva
- nel ridurre o non rilevare la complessità del fenomeno
- nel ricorso a schemi non adeguati o nell'applicazione di modelli causali
In generale si può cmq dire che l'errore clinico è spesso un errore conoscitivo, e la probabilità d'errore aumenta quanto più il problema è interpretativo o inferenziale.
Ogni problema non è solo un problema cognitivo, ma implica il maneggiamento di emozioni che l'esposizione al problema provoca in lui.
Alcune ricerche han dimostrato che si ricordano più facilmente gli eventi che rispecchiano il tono d'umore del momento in cui si sono verificati, e le reazioni emotive del clinico condizionano ciò che si rileva, il modo in cui organizza le informazioni e la sua capacità predittiva (ad esempio un tono d'umore positivo aumenta la capacità di problem solving, anche se a volte può avere conseguenze negative, facilitando la tendenza a semplificare i compiti complessi e a privilegiare strategie di decisione semplificate).
Il clinico giovane ha meno esperienza ma è più fresco di studi (e dovrebbe essere quindi più aggiornato), il clinico vecchio ha più pratica ma i suoi processi decisionali possono essere più rigidi e stereotipati.
Tuttavia c'è da sottolineare che le capacità cliniche non sono un'arte, ma il risultato di un duro addestramento, tuttavia l'esperienza modifica solo parzialmente le caratteristiche personali che potrebbero danneggiare il lavoro del clinico (es. essere impaziente, non tollerare l'incertezza, ecc...).
Alcune ricerche dimostrano che i clinici, indipendentemente dall'esperienza, tendono a soggiacere nella stessa misura alle proprie preconcezioni, quindi sembra che la figura più professionale sia quella del clinico esperto (ha maggiori conoscenze, è più pratico e rapido nel reperire informazioni, tollera meno l'incertezza).
Il clinico inesperto può avere più facilmente correlazioni illusorie, ovvero prestare più attenzione ai dati compatibili con le sue preconcezioni, e questo è sinonimo di insicurezza nei confronti delle proprie capacità decisionali.
Il clinico inesperto è più soggetto all'ansia e per risolvere le discrepanze tra le proprie conoscenze e i dati che vengono alla luce, può cercare di risolvere il dilemma cognitivo tramite covariazioni erronee o distorte.
L'inesperto prende le decisioni basandosi su pochi dati, rispetto a tutti i dati in proprio possesso, e spesso avere più dati non è visto come un miglioramento della precisione diagnostica, ma svolge solo una funzione di rinforzo e rassicurazione per il clinico.
L'inesperto spesso usa dati di evidenza diverse per confermare le proprie ipotesi, ai quali attribuisce impropriamente lo stesso valore.
Altri fattori che influiscono negativamente sul novellino sono: la fretta, di concludere il caso per far contento il paziente (o per non esser sotto pressione da parte dei parenti), la fretta di fare carriera, e le aspettative dei colleghi.
In alcuni casi, la discrepanza tra i dati raccolti può indicare un duplice livello di funzionamento del paziente e la sua diversa modalità di risposta in contesti differenti, ed il clinico inesperto può esser tentato a nascondere queste diversità, piuttosto che a studiarle.
Riflessioni metodologiche
Il paziente ha bisogno di essere aiutato ad intuire che esiste un metodo che guida il susseguirsi delle operazioni del clinico.
L'oggetto del metodo clinico è il funzionamento globale del paziente e le tecniche/procedure adottate sono accettabili solo se permettono di conoscere e descrivere questo funzionamento.
La centratura è quindi più sul malato che sulla malattia o le competenze del clinico, il quale deve salvaguardare le condizioni oggettive e soggettive che massimizzano la sua capacità di comprensione.
La consultazione diagnostica è quell'operazione clinica deputata al raggiungimento della comprensione ed è considerata lo specifico metodologico della psicologia clinica.
Lo scopo della consultazione diagnostica può essere raggiunto solo se il clinico non consente a nessun modello di bloccare la sua capacità di cogliere la realtà del paziente, e la presa in carico della terapia può avvenire solo dopo che la consultazione ha raggiunto l'obiettivo di diagnosi funzionale e quest'ultima è stata consegnata al paziente tramite la restituzione.
Lo psicologo clinico fa delle consultazioni diagnostiche e si occupa di diagnosi funzionale, mentre lo psicoterapeuta conduce un lavoro che ha un proprio razionale specifico, diverso in rapporto al modello di disturbo psichico privilegiato dal particolare tipo di terapia.
Non tutti gli psicologi clinici sono psicoterapeuti e non tutti gli psicoterapeuti sanno fare i clinici (anche se la legge gli permette lo stesso di svolgere la consultazione diagnostica).
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