La prospettiva conflittuale si sviluppa tra gli anni 70 e buona parte degli anni 80 e 3 sono i presupposti interconnessi tra di loro, secondo Wallace e Wolf:
- gli individui possiedono un certo numero di interessi di base, che essi cercano di realizzare e che sono comuni a tutte le società
- il concetto di potere come nucleo della struttura e delle relazioni sociali e sulla conseguente lotta per ottenerlo (il potere è raro, suddiviso in modo non equo e coercitivo nella sua stessa essenza)
- la visione dei valori e delle idee quasi fossero armi usate dai diversi gruppi per portare avanti i loro fini, e non tanto strumenti per definire l'identità e gli scopi di una intera società
Le teorie del conflitto non marxiste
Queste prospettive vedono come inevitabile il conflitto, rivalutandone gli aspetti funzionali al raggiungimento di nuovi equilibri, si esce dalla visione della società perfetta e si accettano i conflitti come elementi naturali ed universali di ogni società.
Un'altra differenza con le teorie marxiste è che queste teorie non vogliono essere universali.
Caratteri essenziali e contenuti del modello
In questo modello il conflitto è visto come norma ed è il sistema giuridico a stabilire cosa è deviante e cosa no.
Coser distingue in conflitti realistici e non, affermando che ogni sistema sociale contiene germi del conflitto realistico, nella misura in cui la gente solleva rivendicazioni di potere, risorse non disponibili.
Si parla poi di nemico interno, e di concetto di capro espiatorio, quando si inventa un nemico esterno per rendere il gruppo più unito, inoltre, il conflitto fungerebbe da stimolo per l'instaurazione di regole, norme e istituzioni nuove.
Vold descrive invece la società come un complesso di gruppi tenuti assieme in un mutevole ma dinamico equilibrio di interessi e sforzi in reciproca opposizione (es. guerre, lotte sindacali, proteste politiche), e descrive la criminalità come l'azione di gruppi conflittuali minoritari.
Per Turk è importante il concetto di autorità, che stabilisce cosa sia il bene e cosa sia il male e fa rispettare le leggi, mentre secondo Quinney, il crimine prende forma nella mente, viene costruita una realtà concettuale del crimine, ma la conseguenza di questa costruzione è costituita da azioni e avvenimenti, ovvero da una realtà fenomenica.
Limiti e critiche
C'è una visione formale, universale, astratta del conflitto, applicabile in ogni società e priva di riferimenti ai suoi fondamenti sostanziali.
Non si parte dalla sfera economica e sociale, ma da quella politica, si considera quindi il conflitto come risultato del rapporto politico di dominio, conflitto che determina il cambiamento sociale.
Marxismo e criminalità
Il paradigma marxiano è un'altra tradizione di ricerca ed analisi in cui si articola la prospettiva conflittuale.
Marx e Engels analizzano il crimine studiando le condizioni della classe operaia ed il ruolo del diritto e dello stato.
Secondo Engels il delitto è considerato come un indice di demoralizzazione, di perdita di legami societari, di sfruttamento e di assenza di alternative, egli infatti parla di furti come scelta obbligata dettata dalla miseria (si ruba o si muore di fame).
Marx sostiene che la spiegazione del crimine va ricercata nelle condizioni materiali che determinano l'esistenza degli individui, ed il crimine è cmq un espressione di lotta verso le condizioni predominanti (es. la povertà), inoltre sottolinea la funzione positiva per la società del crimine e del criminale, per via della divisione del lavoro e allo sviluppo di altre professioni (es. il delinquente fa lavorare la polizia e fa affinare alcuni settori produttivi, come ad esempio nel caso delle serrature, che diventano più perfette grazie all'esistenza dei ladri).
Si evidenzia inoltre la stretta interdipendenza tra persone per bene e delinquenti, e si parla proprio di natura criminale del capitalismo come sistema (la legge non solo punisce il reato, ma può anche produrlo).
Contro i crimini prodotti dal capitalismo e dalla voglia di avere cose, secondo Bonger è efficace per la prevenzione del crimine, solo la costruzione di una società di tipo egualitario basata sul comune possesso di mezzi di produzione.
Limiti e critiche
Ferrajoli e Zolo muovono alcune critiche al marxismo: si pensa solo ai fattori economici e non psicologici, non si distinguono le varie devianze e in questo modo si vede la devianza come patologia del sistema e quindi non eliminabile.
Inoltre non si considerano molto i conflitti della classe dominante, si trovano possibile cause politiche, ma non si crea una teoria globale e generalizzabile.
La nuova criminologia negli Stati Uniti: da liberal a radical
Alla fine degli anni 70 la devianza viene vista come comportamento razionale, significativo e implicitamente di carattere politico, nell'inquadramento della dialettica devianza-controllo nel contesto dell'ordine sociale capitalista per il cui superamento molti si impegnano.
Il sociologo della devianza quindi guarda più da vicino il deviante come soggetto e le istituzioni di controllo e di repressione.
La school of criminology dell'Università di California a Berkeley sviluppa analisi sugli illegalismi del potere che si manifestano soprattutto in termini di violazioni dei diritti della maggioranza dei cittadini e di repressione delle categorie più critiche, si analizzano quindi le minoranze emarginate, si denuncia la repressione della polizia al dissenso, le condizioni delle carceri.
Si vede quindi il soggetto come possibile vittima, si cerca di interpretare il fenomeno di etichettamento (labelling) in termini di giudizio politico.
Il child-saving movement, porta l'America alla creazione dei tribunali per minori e del sistema di istituzioni incaricate alla loro rieducazione.
Platt considera l'istituzione specializzata come uno strumento per un controllo più efficiente e persuasivo, dove i minori vengono repressi e privati di ogni diritto.
L'esperienza inglese: dalla National Deviancy Conference a The New Criminology
Verso la seconda metà degli anni 70 si inizia a non accettare più la sociologia della devianza di impronta funzionalista, studiosi come Becker portano l'attenzione verso l'etichettamento e l'importanza dei mass media in questo processo di labelling.
Successivamente viene anche criticato il modello marxista che pone la devianza all'interno della lotta di classe.
Champman e lo stereotipo del criminale
Champman studia nel suo libro il tema dello stereotipo, affermando che il lavoro dei sociologi della devianza è compromesso perchè questi partono dallo studio del fenomeno appoggiandosi a stereotipi, ed egli sostiene che la classe criminale è vista come capro espiatorio.
I principi del pensiero di Champman sono:
- ogni comportamento deviante può presentarsi nella stessa oggettiva maniera ma essere invece accettato
- gli individui scelgono tra le forme di comportamento che gli consentono di raggiungere gli obiettivi in base al caso, la conoscenza, l'apprendimento, senza particolari motivazioni
- a parte per la condanna, non ci sono differenze tra criminali e non criminali
- il comportamento criminale è generalizzato, ma la diversa incidenza delle condanne è dovuta in parte al caso e in parte a processi sociali che dividono la società in criminali e non
- da questa divisione nasce la tendenza a selezionare le persone da identificare come criminali
- il criminale è un componente funzionale del sistema sociale, in quanto consente di scaricare le colpe e le tensioni degli altri su di se
- lo stereotipo impedisce al criminale di uscire dal suo ruolo sacrificale
- alcuni gruppi sociali privilegiati godono di immunità
- le strutture di controllo e il sistema giudiziario rappresentano istituzioni che creano il crimine
- le agenzie di controllo agiscono sulla base dello stereotipo, rafforzandolo
- una volta individuato un criminale, il suo reinserimento appare difficile e la scelta del crimine appare obbligatoria
- il sistema penale è giustificato dall'esistenza dei recidivi che corrispondono allo stereotipo, che sono il risultato del sistema stesso
- il comportamento amorale della polizia dei penitenziari spinge a comportarsi da criminale
- il mantenimento dello stereotipo è dettato dalle classi che godono di immunità
- c'è una distribuzione non equa dello stereotipo
National Deviancy Conference
Alcuni punti importanti di questa conferenza sono:
- attenzione al significato che il comportamento deviante ha per il soggetto che lo pone in essere
- rifiuto dell'assolutismo, ovvero della concezione della società come sistema monolitico e sorretto dal contesto generalizzato
- riconoscimento delle diversità culturali e di valori
- presa coscienza della problematicità della reazione sociale al comportamento deviante
- critica al correzionalismo
- critica al positivismo
- rivalutazione delle motivazioni individuali
- Scettica: si sopravvaluta il contributo della labelling theory e si vuole potenziare le strutture che sostituiscono la punizione col trattamento, rischiando di rendere il sistema poco sicuro
- Romantica: negli anni 70 si passa dal laissez fair della labelling all'idealismo di sinistra del marxismo, che vede la criminalità come una lotta sociale fatta dagli oppressi che vogliono portare nuovi valori, sentimenti ed umanità
- Critica: si ritorna a studiare le statistiche, si fa un'analisi storica, la criminalità non viene vista più come aspetto patologico del sistema ma è correlata alla sua fisiologia
Taylor, Walton e Young
Questi autori contribuirono con il loro libro The new criminology ad esportare la criminologia fuori dagli Stati Uniti.
L'obiettivo del programma della nuova criminologia è quello di fondare quella che viene definita una teoria compiutamente sociale della devianza e della criminalità, i cui elementi costitutivi sono:
- i fondamenti più generali dell'atto deviante
- i fondamenti immediati dell'atto deviante
- l'effettivo atto deviante
- le origini immediate della reazione della società
- le origini remote della reazione della società
- le conseguenze della reazione sociale per il successivo comportamento dell'attore deviante
Si critica la posizione che vede l'etichettamento come causa del comportamento criminale, perchè la criminalità delle classi subalterne non è un fenomeno creato.
La criminologia critica in Italia
Si concentra sulle ragioni strutturali che sottendono, in una società di classe, il processo di definizione e di etichettamento, dove centrale è l'analisi delle connotazioni e delle funzioni del sistema penale di controllo e della valenza classista del processo di criminalizzazione (secondo Baratta).
Dalla nuova criminologia alla criminologia critica
La nuova criminologia in Italia prende le distanze dalla criminologia positivista, a partire dagli anni 50.
I modelli principali dello studio della criminalità in Italia sono 3:
- modello dell'emarginazione sociale: analisi delle diversità
- modello della reazione sociale: protesta contro l'autoritarismo e la falsa neutralità della scienza, nascono le opere sulla segregazione di Basaglia, lo studio delle carceri e delle istituzioni minorili (e del loro ruolo stigmatizzante e di costruzione di carriere devianti)
- modello della criminologia critica: ha interesse per le aree di marginalità e per le istituzioni totali
Si vuole fare attenzione alla natura e alla funzione del diritto penale, si fa una riflessione socio-giuridica che mette alla luce il carattere ideologico dei principali assunti su cui si fonda il giudizio penale:
- il principio del bene e il male
- il principio della colpevolezza
- il principio della legittimità
- il principio dell'eguaglianza
- il principio dell'interesse sociale e del reato naturale
- il principio dello scopo e della prevenzione
La criminalità è vista come uno status assegnato attraverso la selezione (sulla base di criteri che discendono dall'esigenza di tutela degli interessi dominanti nel sistema socio-economico dato) dei beni protetti penalmente e dei comportamenti assunti nelle fattispecie penali (criminalizzazione primaria) e la selezione di individui stigmatizzati tra tutti quelli che violano le norme (criminalizzazione secondaria).
Alcune posizioni estremiste nate dopo queste analisi affermano addirittura l'esigenza di liberarsi del sistema penale e del carcere.
Limiti delle criminologie radicali e critiche
Gouldner ha criticato la criminologia radicale americana per via delle sue posizioni semplificatrici, che considerano repressiva e conservatrice tutta la sociologia accademica e adottano una versione non seriamente assimilata del marxismo.
Si critica la riduzione di tutti i devianti a oppressi e vittime, trascurando spesso la realtà dei fatti.
Gennaro sostiene che le posizioni radicali sono petizioni di principio che non argomentano a sufficienza le loro motivazioni.
Si critica anche l'interpretazione di ogni atto legislativo come espressione di una sorta di cospirazione perseguita da chi detiene il potere e la visone del carattere rivoluzionario dei comportamenti illegali.
La criminologia critica pecca di incoerenza, rifiutando nettamente l'atteggiamento correzionalista.
Inoltre, altri rischi nell'uso delle teorie della reazione sociale sono:
- il discorso sulla dipendenza della qualità criminale degli atti dalla loro definizione può portare a negare l'esistenza della criminalità
- è impossibile scindere il dato della relatività delle definizioni dalla ricerca delle cause e ciò può portare al rifiuto di riconoscere l'esistenza delle cause dei comportamenti
- la combinazione delle 2 posizioni può alimentare la tendenza a considerare impossibile combattere e prevenire il crimine
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