sabato 24 dicembre 2016

Criminologia (4/8): Il paradigma della devianza come costruzione sociale

La devianza in questo tipo di approccio è vista come termine onnicomprensivo usato per designare l'insieme delle situazioni socialmente definite e trattate come illegali, non conformi, non convenzionali.
Si parla di realtà costruita socialmente, come insieme di idee, pensieri e contenuti di coscienza, incessantemente costruita e reinterpretata dagli individui nelle loro interazioni, si parla poi di relatività dei punti di vista.
Il teorema di Thomas afferma che le situazioni definite come reali provocano conseguenze reali e la consapevolezza della non oggettività dei processi che portano a definire come problema un certo comportamento rappresentano i fondamenti di una visione relativistica della criminalità.
Il termine devianza diventa sempre di più comprensivo delle diverse forme di comportamento che violano le norme penali, ossia i comportamenti propriamente criminali, i comportamenti dovuti a patologie sociali e quelli che costituiscono un problema sociale, quindi il termine devianza diventa ambiguo.
Spetta alla sociologia lo studio dei significati dell'azione sociale, tramite tecniche di indagine tipo l'osservazione partecipante, le interviste aperte, non direttive, la raccolta delle storie di vita, l'analisi dei rendiconti.


Le radici della prospettiva interazionista


La sociologia della devianza che prende vita in America negli anni 60 prende il nome di teoria interazionista della devianza, o labelling theory.

La sociologia fenomenologica degli anni 50
Attribuisce importanza primaria alla struttura interazionale della coscienza umana, ai processi attraverso i quali si attua la costruzione sociale della realtà.
L'analisi fenomenologica della vita quotidiana è contraria alle ipotesi causali o genetiche, ma analizza le azioni sociali tramite l'interazionalità del soggetto che le ha prodotte, indagando tramite intuizione o interviste.
Non si deve studiare il fenomeno, ma capire come comunicarlo, dove tale comunicazione dovrà cercare di evocare, di fare rivivere nell'ascoltatore i sentimenti, le intenzionalità dell'agente.
Si studia anche il rapporto tra l'uomo e il mondo sociale, dove l'uomo produce il mondo ed il prodotto agisce sul produttore attraverso l'interiorizzazione dei suoi elementi (nella socializzazione), ed è quindi importante il ruolo delle istituzioni.

Interazionismo simbolico
Pone l'interesse per la sfera soggettiva, per l'esperienza personale come fonte dei significati che attraverso l'interazione danno origine al sistema di valori.
Le premesse fondamentali dell'interazionismo sono 3: gli esseri umani si comportano verso le cose sulla base dei significati che le cose hanno per loro, questi significati sono un prodotto dell'interazione sociale che avviene nella società umana, questi significati sono modificati e manipolati attraverso un processo interpretativo attuato da ogni individuo quando entra in rapporto coi segni che incontra.
L'interazione è simbolica in quanto l'uomo vive immerso in un universo in cui gli stimoli che lo sollecitano sono dotati di significati e di valori appresi tramite il processo di comunicazione e quindi di interazione sociale (l'individuo e la società sono unità inseparabili).
Secondo Mead, la condotta è la somma delle reazioni degli esseri umani ai rispettivi ambienti, e secondo Blumer gli esseri umani interpretano o definiscono le azioni l'uno dell'altro, piuttosto che semplicemente reagirvi.
Il comportamento dell'uomo non è quindi il risultato di pressioni ambientali, ma deriva da come interpreta e tratta queste cose nell'ambito dell'azione che sta costruendo.
Questo modello però ha il limite di trascurare le componenti affettive inconsce dell'agire umano, gli aspetti psicologici ed emozionali.

Etnometodologia
Uno dei suoi compiti principali consiste nello studio microsociologico dei processi minimi tramite i quali la realtà viene costruita e ricostruita nel corso della vita quotidiana.
La vita quotidiana deve quindi essere oggetto di studio e secondo Harnold Garfinkel, questo modello cerca di considerare le attività pratiche, le circostanze pratiche e il ragionamento sociologico pratico come argomenti di indagine empirica, attribuendo alle attività più ordinarie della vita quotidiana l'attenzione generalmente accordata agli eventi straordinari.
Secondo questo modello, ogni attività deve essere studiata partendo dalla comprensione dell'intenzionalità del soggetto, studiando quindi l'azione intenzionale (ignorando l'impostazione di stampo deterministico), evitando ogni analisi causale o eziologica.
Si studiano le aspettative di routine, le cose date per scontate, e c'è interesse verso il rapporto tra i significati quotidiani, universalmente accreditati, e l'organizzazione di tali significati all'interno dei modelli abitudinari di interazione, a differenza dell'interazionismo simbolico che assume come suo principale interesse la relazione tra il comportamento individuale e le forme di organizzazione sociale (es. i gruppi).


Sutherland e le anomalie del paradigma funzionalista


Secondo Sutherland:
  • il comportamento criminale è appreso
  • è appreso nel contatto con altre persone attraverso un processo di comunicazione
  • si apprende soprattutto in un gruppo ristretto caratterizzato da relazioni personali
  • si apprendono le tecniche di attuazione dell'infrazione e l'orientamento delle motivazioni e degli atteggiamenti
  • l'orientamento delle motivazioni è in funzione dell'interpretazione favorevole o sfavorevole nei confronti delle disposizioni legali
  • un individuo diventa criminale quando le interpretazioni sfavorevoli nei confronti del rispetto della legge sono più forti di quelle favorevoli (principio dell'associazione differenziale)
  • le associazioni differenziali possono variare in frequenza, durata, intensità
  • la formazione del crimine in questo modo coinvolge gli stessi meccanismi coinvolti in qualsiasi altra forma di apprendimento
  • il comportamento criminale non può essere spiegato dai bisogni e dai valori, perchè anche quello non criminale è espressione degli stessi valori e bisogni
Sutherland ha il merito di aver contribuito allo scardinamento del rapporto tra criminalità e povertà, tramite la scoperta dell'assenza di relazione tra variazione della povertà e variazione della delinquenza, e la scoperta della presenza di una discreta quota di criminalità anche nei ceti alti (esempio dei colletti bianchi, white collars).
Questa scoperta ha avuto un grande impatto sulla società, perchè i colletti bianchi economicamente fanno più danni dei poveri, e soprattutto intaccano di più la fiducia ed i principi su cui si fondano le istituzioni.
Gennaro afferma cmq che l'applicazione della legge è diversa verso i colletti bianchi, mentre cmq a Sutherland va il merito di aver allargato l'orizzonte degli interessi della criminologia.
Le critiche a Sutherland riguardano il fatto che spesso ha sottolineato il carattere deterministico dell'agire dell'individuo, come se l'apprendimento del crimine in alcuni casi sia quasi inevitabile, inoltre non esprime una posizione critica verso il sistema sociale.


La prospettiva interazionista della reazione sociale e dell'etichettamento


Si sviluppa tra gli anni 50 e 60, e si interessa all'interazione tra deviante e contesto, e al controllo sociale.
La devianza viene vista come espressione di diversità piuttosto che come patologia, e di complessità piuttosto che di semplicità.


I contenuti del paradigma
I contenuti essenziali di questa teoria sono:
  • la devianza non è una proprietà intrinseca ai comportamenti, ma è una proprietà conferita ad essi dalla percezione sociale e/o dalle definizioni normative
  • è una conseguenza dell'applicazione di etichette e sanzioni da parte di alcuni nei confronti del trasgressore
  • si abbandona la prospettiva sincrona (una o più cause agiscono in un determinato momento facendo precipitare la situazione) per la prospettiva sequenziale (percorso dell'individuo fatto di piccoli passi, ciascuno dei quali è condizione dello svilupparsi di una determinata nuova prospettiva che è premessa di nuovi comportamenti)
  • le motivazioni devianti non preesistono al comportamento
  • si distingue in devianza primaria (diffusa, poligenica, di dimensioni non conoscibili, poco interessante) e devianza secondaria (si manifesta a seguito della reazione sociale che colpisce il soggetto, ed è quella di principale interesse per la sociologia)
  • alla devianza secondaria si arriva tramite un processo dove sono importanti l'interazione con gli altri e con le istituzioni di controllo
  • in questo senso il deviante inizia un percorso, una carriera, dove apprende sempre nuove tecniche
  • la carriera porta all'etichettamento e alla perdita delle opportunità di vita normale
  • le norme che etichettano non sono unanimi, ma espresse dal gruppo di maggioranza
  • si studia quindi la norma per capire cosa è deviante
  • l'applicazione delle norme non corrisponde a criteri oggettivi
  • gli sbagli della legge nell'etichettare o nel non farlo, mettono in crisi il sistema
  • i diversi gruppi si etichettano a vicenda
  • le istituzioni totali e il loro potere inglobante conducono i soggetti alla perdita dell'identità di cui sono portatori che viene sostituita da quella istituzionale
Quindi si può dire che:
  • Tra il comportamento deviante e non, non ci sono differenze sostanziali per quanto riguarda i bisogni e spesso i valori di riferimento, e c'è il concetto di affiliazione, dove il neofita viene iniziato ad un certo comportamento.
  • La devianza attribuita ad un certo comportamento è relativa, modificabile nel tempo, frutto della definizione normativa di volta in volta prevalente (è quindi una proprietà conferita a determinati atti all'interno di un processo di costruzione sociale).
  • La reazione sociale al comportamento deviante si esprime a 2 livelli: quello informale (che si concretizza sui livelli di stigmatizzazione, ovvero l'etichettamento negativo di persone, e marginalizzazione) e quello istituzionale (esperito dalle agenzie di controllo).
    In quest'ottica, la stigmatizzazione è un processo che gruppo di persone impone ad un altro gruppo, mentre la reazione da parte delle agenzie di controllo ed il loro contributo alla creazione della devianza tramite etichette (anche tramite etichettamento fisico, tramite l'aspetto) è importante, e l'abilità del criminale sarà quella di riuscire a passare per normale e quindi inosservato, sfuggire alla sua etichetta.
  • Le definizioni applicate agli individui contribuiscono a costruire o a modificare la loro identità, e l'acquisizione dell'identità deviante avviene all'interno di un processo nel quale si può distinguere la devianza primaria e la devianza secondaria, e consente di parlare di carriera.
    Secondo Lemert, la devianza primaria è l'allontanamento più o meno temporaneo da valori o norme sociali/giuridiche, attraverso un comportamento che ha implicazioni soltanto marginali per la struttura psichica dell'individuo, infatti essa non da luogo ad una riorganizzazione simbolica a livello degli atteggiamenti nei riguardi del sé e dei ruoli sociali.
    La devianza secondaria invece consiste invece nel comportamento deviante o nei ruoli sociali basati su di esso, che diventa mezzo di difesa, di attacco o di adattamento nei confronti dei problemi creati dalla reazione della società alla devianza primaria, quindi sotto quest'ottica, perdono di importanza le causa originarie della devianza primaria e diventano centrali le reazioni di disapprovazione, degradazione ed isolamento messe in atto dalla società.
    Il deviante secondario ha una modificazione psichica, ed a prescindere dalle sue azioni è una persona la cui vita e identità sono organizzate attorno ai fatti della devianza.
    Uno studioso famoso della carriera deviante fu Becker, mentre Lemert afferma che la devianza secondaria è il prodotto di un processo di risoluzione dei problemi che è reso più complesso dalla perdita di status (il deviante etichettato ed emarginato dalla reazione delle istituzioni) e dal mutamento della gerarchia dei valori.
  • La valorizzazione del punto di vista dei protagonisti (devianti e non) è l'elemento centrale dell'impostazione metodologica che sostanzia l'approccio interazionista alla devianza.
    Si deve guardare ai fenomeni sociali non con uno sguardo distaccato, ma con fare empatico, in modo da comprendere il punto di vista dell'attore e superare l'approccio correzionale, e tra le critiche a questo modello c'è il fatto che spesso lo sforzo per guardare il deviante nel contesto è minimo. 


Limiti e critiche


Le critiche individuate da Lemert sono:
  • l'unidirezionalità con cui è descritta l'interazione e l'ineluttabilità del processo attraverso il quale si diventa devianti
  • la reificazione del potere delle istituzioni, la rappresentazione degli altri come gruppi solidali ed omogenei e la manichea divisione del mondo in buoni e malvagi
  • l'enfasi sugli aspetti drammaturgici, trascurando la parte dell'interazione quotidiana
  • la discutibilità della descrizione del potere di chi crea le categorie morali
  • la preferenza dello studio di alcune categorie di devianza a scapito di altre
  • l'assolutizzazione dell'immagine della reazione istituzionale in termini di repressione
  • l'assenza di attenzione alle differenze oggettive di comportamento come fonte di diverse reazioni
Lemert quindi rifiuta la devianza come il prodotto di una scelta arbitraria, fortuita o prevenuta.
Altre critiche invece riguardano:
  • Iperrelativismo e costruzionismo: la negazione dei dati della realtà
  • Assenza di considerazione dell'origine strutturale del potere di definizione (bisogna abbandonare l'astrattismo con cui è definito il modello politico per costruire una teoria materialistica della devianza capace di contestualizzare e spiegare azioni e reazioni)
  • Il ruolo politico-ideologico della teoria: non si esprimono critiche verso la società, si espongono solo i fatti e si lasciano le cose come stanno, si dovrebbe tollerare la diversità ma non usando l'indifferenza
  • Assenza di interesse per la dimensione eziologica, per la spiegazione della devianza primaria e del nesso causale tra reazione e devianza secondaria
  • Non si crea una teoria, ma si da un semplice contributo alla conoscenza (tramite la proposta all'uso di determinati metodi di ricerca). 

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