Il primo colloquio è una situazione conoscitiva unica e specifica, la
sua particolarità sta nel fatto che è una condizione nuova in cui non
sono ancora in atto modalità di relazione già note e organizzate.
In questa prima fase, le modalità che il paziente usa sono un indizio di
come tenderà ad affrontare lo stesso colloquio, e può quindi essere
interessante capire a chi il paziente idealmente si rivolge, in che
modo, con che emozioni, con quali aspettative, attitudini e capacità.
Il primo colloquio come esame obiettivo
La capacità del clinico più esperto è riconducibile ad una migliore ed immediata comprensione ed utilizzazione dei primi elementi che il paziente porta nel colloquio, e alle modalità di passaggio dalla presentazione di sè da parte del paziente al colloquio clinico vero e proprio.
Il clinico più esperto ha una maggiore sicurezza derivata da una già consolidata professionalità e dalla possibilità di confronto con le esperienze e casistiche precedenti.
E' capace di più obiettivazione: chi si sente meno minacciato nella sua identità professionale e chi è in grado di porsi in una condizione di apprendimento (obiettivazione non difensiva).
L'inizio, il primo colloquio, è una situazione aperta e non preordinata, ed è importante che il principiante consideri questa situazione iniziale come un setting la cui specifica neutralità è proprio quella di non parteggiare per una scelta già determinata dal solo fatto che il paziente si è rivolto ad uno psicologo clinico.
Psicologizzazione precoce e ritualizzazione
Se il clinico cerca di modificare la situazione di ansietà iniziale attraverso l'impostazione di uno schema onnicomprensivo (psicologizzazione) e all'interno del quale allearsi (ritualizzazione), può creare un ostacolo ad un proficuo utilizzo di questa situazione.
Per rituale si intende quindi una modalità da compito che non si struttura sulla base di quanto il paziente comunica, ma sull'adeguamento del paziente stesso a tale modalità.
La psicologizzazione può essere usata precocemente già dal paziente, come speranza che la psicologia magicamente possa ridurre la sofferenza.
La sfiducia e la diffidenza
Per il paziente la diffidenza può essere una necessità irrinunciabile di badare a se stesso e di voler esser certo delle sue scelte, e di contrastare il pericolo di affidarsi alla cieca (es. paura di essere imbrogliato).
La sfiducia può far capire che il paziente ha aspettative di interventi di tipo diverso, magari dovute ad interventi subiti in precedenza.
Le manovre dello psicologo che vuole conquistare a tutti i costi la fiducia del paziente nel primo colloquio possono danneggiare l'intero iter.
La possibilità di non capire
Lo psicologo inesperto può commettere l'errore di voler a tutti i costi capire troppo fin dall'inizio, vivendo il paziente nel modo sbagliato e rischiando di indurlo ad usare schemi prestabiliti e quindi a non essere spontaneo e naturale.
Anche la psicologizzazione e la ritualizzazione precoce impediscono il passaggio allo strutturarsi del colloquio, e si parla di arte del primo colloquio, come capacità di cogliere la modalità più utile per quel determinato paziente, nel clima emotivo che viene creandosi e con gli strumenti a disposizione.
E' necessario far capire al paziente che ciò che egli comunica è ciò che conta, anche quando è necessario spostare la sua attenzione su altri elementi, e bisogna anche tener conto che oltre alla sfiducia, il paziente possa anche non capire.
Gli stereotipi sono i maggiori ostacoli alla formazione del primo colloquio ed essi sottendono le security operations, che sono ad esempio il doversi dimostrare amichevoli o intelligenti, come stereotipo dell'alleanza e della fiducia, cosa che non sempre è una cosa naturale e che quindi può essere controproducente se forzata.
Questi stereotipi possono indurre a diagnosi frettolose.
Bisogna inoltre imparare dal proprio paziente e anche dalle difficoltà che si incontrano durante il colloquio.
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