Psicologia e retorica
Nella psicoretorica, l'oggetto d'indagine sul quale si vuole operare non è la singola frase ma il discorso, in primo piano c'è la macrostruttura del discorso, la sua organizzazione e il suo sviluppo, la connessione tra le parti, le deviazioni, la comminazione, l'interferenza tra i temi, ecc...
Il discorso oggetto dell'indagine psicoretorica è il discorso comune, e la retorica di solito si occupa del discorso persuasivo, oltre che del discorso in generale.
Esiste una distinzione tra retorica del discorso e retorica della parola, e lo psicologo si occupa di questa materia per poter studiare i processi mentali.
Secondo Aristotele la retorica dei luoghi comuni comprende le opinioni e le premesse dalle quali si traggono le argomentazioni.
Dimensione psicoretorica del discorso dimostrativo
Per studiare il discorso dimostrativo è stato usato il teorema di Euclide, dove a dei soggetti veniva data la versione originaria, mentre ad altri soggetti veniva data una versione con l'ordine del discorso mutato.
I soggetti a cui è stata data la versione più adeguata si sono dimostrati più rapidi di comprensione e di previsione di alcune parti della spiegazione ancora non note, e ciò dimostra che ordinamenti diversi del discorso possono favorire o ostacolare la comprensione di esso, e questo vuol dire che l'elemento psicologico e retorico non è estraneo al discorso dimostrativo.
Non è vero che solo il discorso persuasivo è l'oggetto della retorica, qualsiasi discorso ha una dimensione retorica, compreso il discorso dimostrativo, e il vero oggetto della ricerca retorica è "come" e non "ciò" di cui si parla, perché non è ciò di cui si parla ma come se ne parla che permette di capire ciò di cui si parla.
In un modello di produzione del discorso monologo generale bisogna: introdurre il discorso e determinare ciò di cui si tratta (exordium), esporre le informazioni di cui si dispone (narratio), esaminare le prove pro e contro (confirmatio e refutatio), tirare le somme (conclusio), e ci sono inoltre altre fasi come quella dove si sistemano le prove (inventio),dove si collocano le prove nel corpo del discorso (dispositio),c'è la messa in forma verbale delle argomentazioni con la scelta delle espressioni giuste (elocutio), e la fase di memoria ed azione (memoria e actio) che dipende dalle condizioni culturali in cui si sviluppa la retorica.
In linea di massima la distinzione tra discorso persuasivo e discorso dimostrativo è dal punto di vista retorico e psicologico irrilevante.
Quando si fa una dimostrazione nulla viene anticipato e accade spesso che le proposizioni direttamente rilevanti e pertinenti per lo svolgimento del ragionamento sono precedute da digressioni destinate a introdurre e trattare gli elementi che le legittimano, ed il destinatario del discorso viene condotto verso la conclusione finale.
Si può anche organizzare il discorso dimostrativo in maniera diversa, privileggiando le esigenze psicologiche del soggetto al quale il discorso è rivolto, per facilitarne la comprensione ed il ricordo.
Nella teoria classica di Euclide, il soggetto ascoltatore riceve molte informazioni che deve tenere in memoria abbastanza a lungo per poter comprendere i passi successivi della spiegazione e questo comporta un costo psicologico elevato, con conseguenti rischi di caduta o deterioramento dell'informazione, mentre organizzando la spiegazione in maniera diversa il soggetto capirà passo dopo passo e sarà addirittura in grado di prevedere la spiegazione, evitando così la sorpresa e il costo nel ricevere informazioni nuove, il soggetto capirà dunque la direzione in cui si sta spingendo il discorso, ne capirà il suo sviluppo.
Gli esperimenti indimostrato che nessuno dei soggetti a cui è stato sottoposto il teorema di Euclide classico è stato in grado di fare qualche previsione sullo sviluppo della dimostrazione prima del sesto punto (su 8), mentre più di tre quarti dei soggetti a cui è stato proposto il testo modificato hanno fatto previsioni dal terzo punto, e questo dimostra che anche se un discorso è logicamente corretto, se la sua struttura non è chiara si riduce molto la possibilità di comprensione.
Il discorso persuasivo e lo studio del pensiero
Il discorso persuasivo è come un percorso che va da un punto di partenza (le opinioni iniziali dell'ascoltatore), ad una meta (le opinioni del persuasore).
Nel problem solving l'individuo si trova di fronte ad un ostacolo che può superare solo con mezzi intellettuali, usando il pensiero, si deve pensare alla situazione di persuasione secondo l'ipotesi del doppio codice, agendo sulle premesse o sulle connessioni o su entrambe, in modo tale da far vedere al soggetto le cose in modo nuovo, da fargli avere un messaggio diverso da quello posseduto in precedenza, facendo assumere alle informazioni che già possiede un senso diverso, cambiando quindi codice, facendo magari passare in secondo piano delle informazioni a vantaggio di altre.
Quando si studiano dei soggetti dal vivo è difficile che si possa sapere tutto su di essi, sulla situazione in cui avviene la persuasione, sulla sua storia, sui suoi precedenti, il ricercatore osserva le operazioni del soggetto ma non sa come esso è giunto a farle, quindi negli studi di laboratorio si faranno inferenze circa i processi mentali partendo dal comportamento osservato in condizioni opportunamente controllate.
Una tecnica di studio è quella del pensiero ad alta voce, che però può portare a qualche innaturalezza e al rischio che il pensiero del soggetto si modifichi a causa dell'esposizione orale di esso.
Questi inconvenienti vengono evitati nel discorso persuasivo perché il persuasore esternalizza esattamente il pensiero passo per passo, quindi il discorso persuasivo e il pensiero fanno tutt'uno.
Si può quindi dire che chi persuade non fa altro che dire i processi di pensiero che connettono la posizione di partenza con la meta.
Presupposizione e contestabilità del discorso
L'uomo comune cerca sempre di capire, anche se proprio le sue idee più fondamentali e stabili, sono incoerenti ed a volte in contraddizione.
Ogni discorso ha il suo discorso alternativo e quando c'è la possibilità di contraddire si aggiunge anche quella di non accorgersi o di evitare di contraddirsi.
Normalmente il presupposto non appare nel discorso manifesto, ma svolge la sua funzione restando nascosto nella parte sommersa, inoltre cambiando il modo con cui viene accolto il discorso in relazione al valore positivo o negativo della conclusione, una stessa proposizione può fungere da antecedente di una conclusione positiva e di una negativa, di significato opposto.
La ribaltabilità di un discorso equivale alla sua contestabilità.
Il processo di persuasione deve per forza agganciarsi a qualcosa che persuadendo condivide, quando si vuole persuadere qualcuno il succo del discorso persuasivo (a quo) deve essere coerente con l'idea che si vuol fare accettare.
Il discorso vacuo
Uno pseudodiscorso è una struttura di parole fondamentalmente vuota di significato.
Una proprietà del discorso vacuo è la trasferibilità dell'argomento, se il discorso vacuo ha una composizione semantica molto plastica, essa può adattarsi a diversi oggetti.
Manipolando quindi un testo, si può ottenere un testo derivato che parla di un altro argomento, usando la proprietà di sostituzione.
Il discorso vacuo può passare per un discorso normale solo se il testo ha una grammaticalità corretta, deve in qualche modo assomigliare al discorso normale, deve essere vissuto come un qualcosa proposto da una fonte autorevole, in modo che i soggetti non riescano a criticarlo con sufficiente sicurezza.
Comunque i soggetti devono capire, o credere di capire, qualcosa del discorso, e la presenza del luogo comune risulta una condizione indispensabile per permettere all'ascoltatore l'illusione di capire e di produrre egli stesso un discorso.
Forme congiuntive e filo del discorso
Nel discorso normale l'uso di una forma congiuntiva è condizionato dal fatto che chi parla vive l'esperienza di un particolare nesso tra le parti congiunte.
Se nonostante la presenza della forma congiuntiva il discorso viene vissuto dall'ascoltatore come sconnesso, vuol dire che la forma congiuntiva non esercita nessuna azione autonoma di strutturazione del discorso, ovvero che queste forme sono efficaci esclusivamente come segnali di connessioni esistenti o vissute per altra ragione, viceversa, questa forma ha una azione strutturante, la cui entità viene data dal numero di soggetti che ne subiscono l'effetto.
Questa proprietà è stata testata con degli esperimenti dove è stato provato che l'inserimento della forma congiuntiva consente di legare due parti del discorso che altrimenti verrebbero percepite come separate.
E' stato inoltre provato che l'efficacia come fattore strutturante delle forme congiuntive deboli è maggiore di quella delle forme congiuntive forti.
La forma congiuntiva può segnalare la connessione tra le parti, anche quando la connessione logica non c'è.
La battuta di spirito
Ciò che viene detto, per essere capito, non deve essere sempre preso alla lettera o semplicemente decodificato, ma anche interpretato.
Sono detti discorsi speciali, tutti quei discorsi che si differenziano dal discorso normale e che richiedono quindi l'applicazione o l'intervento di una particolare chiave di discorso, come ad esempio, un eufemismo, un'iperbole, una metafora, una metonimia, una sineddoche, la battuta di spirito, che non sono solo modi di parlare, ma veri e propri modi di pensare.
Le relazioni tra proposizioni sono governate anche dal principio di consequenzialità (oltre che da quello di compatibilità o di non contraddizione), ovvero quando si fa una dichiarazione non solo può capitare di dover rifiutarne altre per mantenerla corretta, ma anche di dover accettarne altre ad essa correlate.
Chi fa una battuta invece non è legato a queste regole, ed una delle più importanti proprietà delle battute di spirito è che esse vogliono essere un discorso assoluto.
La battuta di spirito gode di una assolutezza logica e di una assolutezza morale, chi fa una battuta di spirito può commettere incoerenze logiche, mancare di consequenzialità, e anche un po' di moralità.
Ad una battuta si risponde solo con una battuta, chi risponde seriamente è fuori luogo, tuttavia questo è vero entro certi limiti, i limiti della morale comune.
L'assolutezza logica e quella morale della battuta sono intimamente connesse, e grazie queste assolutezze abbattute si differenzia dal discorso normale.
La sorpresa nell'ascoltatore di una battuta è dovuta al modo in cui la battuta è costruita, la quale consiste nella direzione di una o più regole retoriche, queste regole si possono distinguere in un aspetto riguardante la correttezza del ragionamento, e in un aspetto più strettamente attinente alla comunicazione, riguardante la comprensibilità del discorso.
In ogni battuta c'è un brusco cambiamento di direzione, una discontinuità, può esserci una contraddizione del discorso, e queste violazioni di regole del discorso normale non sono errori, ma sono cose volute, essenziali per la battuta.
Si può quindi avere un sillogismo le cui premesse sono costituite in base a principi contraddittori ma entrambi accertati, a cui segue una paradossale conclusione.
La contraddizione che dà luogo alla battuta deve essere significativa, cogliendo ed esprimendo incongruenze, difficoltà, aspetti reali presenti nel modo di pensare e nel comportamento dei singoli o nel gruppo a cui ci si rivolge.
Le battute vertono sempre sui limiti della conoscenza, e la parte in fondo ad una battuta è sempre una contraddizione del pensiero proprio o altrui.
Anche Freud fece un articolo su questo argomento, chiamato Umorismo, dove un delinquente condotto al patibolo esclama: "comincia bene la settimana", dove la contraddizione sta nel fatto che non si può iniziare un'azione se si sa già che non verrà conclusa.
Non si tratta di una contraddizione di tipo logico, di cui si ha chiara consapevolezza, ma di una difficoltà connessa con la distinzione ed il comporsi delle idee.
In genere, la distinzione tra le regole logiche e le regole di comunicazione non è sempre facile.
Linguaggio figurato
Secondo Fontanier, le figure del discorso sono i tratti, le forme o i giri con i quali il discorso si allontana da quella che sarebbe stata l'espressione semplice e comune.
Esistono figure usate tanto comunemente da diventare addirittura degli stereotipi, il linguaggio figurato è dunque una forma fisiologica del discorso, e secondo Quintiliano, i tropi e le figure aggiungono efficacia alle cose e danno loro eleganza.
Il linguaggio figurato è un ordine secondario, dato che è sua specifica caratteristica costituirsi in rapporto ad una modalità espressiva di base, e dato che il discorso può articolarsi su diversi piani, il linguaggio figurato costituisce un ordine distinto di secondo grado.
Partendo dalla rappresentazione visiva non si può più ottenere il dato materiale della figura verbale, perché l'espressione metaforico si è dissolta, il dire e il non dire rappresentativo della figura retorica, nella rappresentazione grafica sembra scomparire del tutto.
Nel caso della rappresentazione grafica, il messaggio non è l'espressione metaforica, essa è infatti presupposta e senza previa conoscenza dell'espressione metaforica e della sua decodificazione, la vignetta grafica risulterebbe incomprensibile.
La trasposizione grafica non è quindi la traduzione sul piano visivo della figura verbale, ma è una figura della figura.
Il senso del discorso o di una sua parte dipende nella chiave utilizzata, e le ambiguità sono un aspetto insopprimibile del linguaggio naturale, fanno parte delle regole del gioco.
Il linguaggio figurato non serve solo come ornamento al discorso o ad aggiungere grazia espressiva, esso può intervenire in funzione propriamente cognitiva, come unica possibilità disponibile per il soggetto pensante di terminare il suo discorso.
La metafora
Tra le varie funzioni della metafora sembra che ci sia anche quella di mettere in difficoltà il nostro pensiero, oltre ad avere una funzione di ornamento, contribuendo alla creatività linguistica e colmando le lacune lessicali.
Secondo Lausberg, la metafora è la sostituzione di un verbum improprium con una parola il cui significato inteso proprie è in rapporto di somiglianza con il significato proprie della parola sostituita.
La metafora non ha solo una funzione catacretica (di supporto lessicale) ma ha anche altre funzioni, e non può essere studiata a livello della parola perché noi non pensiamo con parole ma per discorsi, e per capire la metafora quindi, è indispensabile connettere direttamente il processo di metaforizzazione al pensiero.
Secondo Aristotele, la metafora consiste nel trasferire ad un oggetto il nome che è proprio di un altro, e questo studioso è il padre delle due principali teorie sulla metafora, quella della sostituzione e quella della similitudine.
In alcune metafore il significato non deriva semplicemente da precedenti impieghi metaforici, ma da certe qualità percettivo-espressive, e si ha quindi la sostituzione di un verbum proprium con un verbum improprium (teoria della sostituzione).
Nella metafora non viene utilizzata un'immagine particolare, nel veicolo invece viene fissata un'esperienza o una conoscenza comune, una metafora comunicabile quindi, necessita della tipicità del veicolo.
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