Gli oggetti occupano una posizione e si muovono in uno spazio
definito da una dimensione verticale, orizzonatale e di profondità (la
distanza dai nostri occhi).
Hermann Von Helmholtz (1867) fisiologo tedesco,
sosteneva che la percezione non può essere ridotta a una risposta
passiva del sistema visivo alla luce che colpisce gli occhi, ma che deve
essere un processo mentale attivo.
Le radiazioni visive che si focalizzano sulla retina, non sono la scena
osservata, ma un'insieme di indizi per la costruzione della scena reale.
Secondo Helmholtz la percezione visiva è sempre il prodotto di un
processo d'inferenza e secondo lui alcune fasi di questo processo possono essere
descritte con formule matematiche ed equalizioni che esprimono la
relazione tra l'informazione contenuta nella luce riflessa sulla retina e
le conclusioni che vengono tratte.
L'inferenza inconscia è dunque l'insieme di questi processi che non vengono cmq percepiti dall'individuo.
La percezione più accurata della profondità si ha guardando con entrambi gli occhi.
La convergenza oculare è lo spostamento dell'asse oculare verso
il centro che si verifica quando guardiamo un oggetto vicino, e tanto
più è vicino l'oggetto e tanto più gli occhi devono convergere per
riuscire a guardarlo.
La convergenza oculare è dunque un indizio della distanza degli oggetti.
Un altro indizio della distanza degli oggetti è la disparità retinica
che indica la leggera differenza di visione che i due occhi hanno,
questo perchè gli occhi, essendo distanziati di qualche centimetro tra
di loro, vedono gli oggetti da angolazioni differenti, ricavandone
un'immagine lievemente differente.
Se osserviamo un oggetto, tanto più lontano esso è dagli occhi tanto
minore sarà la differenza dell'angolo compreso tra occhio e oggetto, per
cui le linee della direzione dello sguardo di ciascun occhio tenderanno
a diventare sempre più parallele.
Se ad esempio guardiamo un dito vicino con un occhio e poi con un altro
lo vediamo in posizioni diverse, ma questa differenza si noterà sempre
meno a seconda della distanza dalla quale guardiamo il dito.
Il grado di disparità tra i due occhi può essere quindi un indizio utile per valutare la distanza di un oggetto.
La capacità di percepire la profondità tramite disparità retinica viene definita visione stereoscopica.
Per verificare queste teorie Wheatstone inventò lo stereoscopio.
Disegnando ad esempio puntini di una certa area sfasati rispetto ad
altri, e guardandoli con speciali occhiali che ne creano una sorta di
sovrapposizione, si crea il senso di tridimensionalità dell'immagine.
La parallasse di moto è un importante indizio
monoculare della profondità, ed è il fenomeno per cui la percezione
visiva di una scena o di un oggetto cambia quando la nostra testa si
muove rispetto alla scena o all'oggetto.
L'entità della modificazione della visione monouculare funge da indizio
per valutare la distanza di un oggetto dagli occhi, più è lieve la
modificazione maggiore è la distanza.
Ad esempio se siamo in treno, le cose vicine le vediamo sfrecciare, le cose lontane scembrano scorrere lentamente.
Esistono anche diversi indizi pittorici di profondità:
- L'occlusione: Gli oggetti più vicini che impediscono la visione parziale di oggetti più lontani indicano che questi sono i più vicini.
- Le dimensioni relative delle immagini di oggetti familiari: Se una figura che conosciamo bene appare più grande di un'altra figura notoriamente più grossa, ciò significa che la figura che ora sembra più grossa è in realtà più vicina.
- La prospettiva lineare: Alcune linee che vanno verso il fondo, stringendosi sempre di più possono indicare la profondità della scena.
- Il gradiente di tessitura: Gli elementi tipo la grana visiva, risultano sempre più piccoli man mano che ci si allontana.
- La posizione rispetto all'orizzonte: Nelle scene degli esterni, gli oggetti più vicini all'orizzonte di solito appaiono i più distanti.
- L'illuminazione differenziale di superfici: La quantità
di luce riflessa dalle diverse superfici varia sia in funzione
dell'orientamento di ogni superficie rispetto alla sorgente di luce, sia
in funzione delle ombre degli altri oggetti.
In uno stesso oggetto, la parte illuminata e quella in ombra possono far capire quale sia quella più distante.
La grandezza dell'immagine retinica prodotta da un oggetto è inversamente proporzionale alla sua distanza dalla retina.
La costanza di grandezza è la capacità di percepire le dimensioni di un oggetto costanti anche se le dimensioni dell'immagine retinica si modificano a seconda dello spostamento dell'oggetto.
Oggetti noti possono apparire più grandi o più piccoli a seconda di indizi di profondità fuorvianti.
Esempi noti di questi concetti sono l'illusione di Muller-Lyer e l'illusione di Ponzo.
Illusione di Muller:
Richard Gregory (1968) per spiegare alcune illusioni ottiche ha proposto la teoria dell'elaborzione degli indizi di profondita che sostiene che in queste illusioni ottiche uno degli oggetti appare più grande dell'altro per via di indizi sulla distanza che portano a giudicare l'oggetto come più lontano e quindi più grande.
Anche in questo caso, i processi mentali da cui dipendono le nostre percezioni sono inconsci.
Un'altra illusione famosa è quella della luna che quando è vicina all'orizzonte sembra più grande, questo per quanto spiegato prima negli indizi pittorici.
Infatti se osserviamo la luna isolandola dal contesto, questa torna a sembrarci piccola.
I processi in questione sono i seguenti: processi inconsci portano a formulare che la luna è più lontana del solito (dato che gli oggetti all'orizzonte sono visti come più lontani), processi inconsci formulano il giudizio che la luna è più grande del solito (dato che è più lontana del solito ma pare sempre uguale, deve essere quindi più grande), il giudizio che la luna è più grande del solito raggiunge la coscienza.
Tutto questo perchè il nostro sistema visino non è evoluto per valutare distanze grosse come quelle della luna con la terra, e quindi la valutazione della distanza avviene automaticamente in relazione ad oggetti terresti più familiari.
Costanze visive
Sono quelle caratteristiche per cui le caratteristiche degli oggetti appaiono costanti nonostante l'immagine retinica si modifichi a seconda delle condizioni d'osservazione.
La costanza di forma è quell'effetto per cui l'oggetto viene percepito di uguale forma nonostante la forma dell'immagine retinica cambi col ruotare dello spazio.
La costanza di grandezza (vedi sopra).
La costanza di luminosità il fenomeno per cui gli oggetti bianchi, grigi o neri sembrano mantenere costante il grado con cui appaiono chiari o scuri, anche quando la quantità di luce che l'oggetto riflette cambia al variare della quantità di luce riflessa su di esso.
La teoria dell'inferenza inconscia di Helmholtz applicata alle costanze
Secondo questa teoria la percezione implica un processo di soluzioni di problemi a livello inconscio.
Nella costanza di grandezza, il cervello prima utilizza gli indizi di profondità, poi si serve di questa informazione per calcolare le dimensioni dell'oggetto, infine giunge alla conclusione che l'oggetto è delle stesse dimensioni in entrambe le posizioni.
Nella costanza di forma, il cervello calcola la distanza delle varie parti dell'oggetto dagli occhi, quindi in base ai risultati e alla forma dell'immagine retinica, calcola quale sarebbe la forma dell'immagine vedendo l'oggetto da una qualsiasi altra angolazione.
In questo modo, tutte le immagini retiniche prodotte dallo stesso oggetto sono tutte equivalenti di forma.
Nella costanza di luminosità, la nostra percezione di luminosità è direttamente correlata all'indice di riflessione di un oggetto, ovvero al rapporto tra la quantità di luce riflessa dall'oggetto e la quantità di luce che lo illumina. L'indice di riflessione resta costante indipendentemente dalla quantità di illuminazione, come resta costante la luminosità percepita.
La teoria di Gibson della percezione diretta
Secondo James Gibson, siamo il prodotto di un processo evolutivo mediato dalla selezione naturale nel mondo reale, tridimensionale, e tale processo ha portato allo sviluppo di un sistema percettivo estremamente efficiente nel cogliere tutte le informazioni che ci aiutano a sopravvivere nel nostro mondo.
La teoria della percezione diretta ipotizza che l'informazione covogliata dallo stimolo sia sufficiente ai fini percettivi (e che quindi non ci siano tutti i calcoli infieriti da Helmholtz).
Gibson disse che il sistema percettivo si è evoluto per rispondere agli stimoli di ordine superiore, così informazioni più complesse sarebbero registrate e tradotte direttamente nella percezione di grandezza, di profondità, ecc...
Gibson inoltre, non fa differenza tra percezione e sensazione.
Per spiegare la costanza di grandezza, Gibson sosteneva che il sistema visivo si è evoluto in modo da ignorare la grandezza dell'immagine retinica e da percepire direttamente le dimensioni di un oggetto in relazione alle altre parti della scena, e particolarmente in relazione agli elementi di tessitura.
Per spiegare la costanza di forma Gibson sosteneva che il sistema visivo si è adattato a cogliere i contorni degli oggetti e le loro superfici, e di norma ogni superficie ha una tessitura peculiare che serve a distinguerli da altre superfici.
Nella costanza di luminosità Gibson afferma che anche in condizione di cambi di luce, l'oggetto riflette sempre una quantità di luce proporzionalmente più elevata rispetto a quella riflessa dagli oggetti vicini.
Secondo Ewald Hering, noi percepiamo la profondità e le altre caratteristiche spaziali degli oggetti in virtù di processi automatici innati, e non per intervento di complesse operazioni mentali.
Quindi secondo Hering la teoria di Helmholtz non era plausibile, poichè la percezione è troppo rapida per essere mediata da calcoli così complessi e da inferenze logiche.
Helmholtz dal canto suo, obbiettava Hering sul fatto che non proponeva alcun meccanismo.
Probabilmente queste due teorie si complementano a vicenda.
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